Renzi, l’outsider nel Palazzo

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Matteo Renzi ha dunque completato la sua scalata: al partito e al governo; al Nazareno per poi accedere a Palazzo Chigi. Si tratta, in realtà, dell’ultima tappa per un leader politico che, negli ultimi dieci anni, è sempre stato al governo: della Provincia e poi del Comune di Firenze, oggi anche del Pd e del Paese. Dentro al Palazzo e, allo stesso tempo, fuori.

Fuori! è l’invocazione che fa da titolo al libro dato alle stampe, nel 2011, per raccontare la rapida ascesa a livello locale. Per portare facce nuove a Palazzo vecchio, come recita lo slogan scelto, due anni prima, nella corsa per la poltrona di sindaco. È in questa fase che prende forma il mito del giovane impaziente, ambizioso, sempre pronto a decidere, a rischiare in prima persona. Un leader che non rispetta il posto in fila, il cursus honorum del politico-di-professione, rifiutando di rimanere altri quattro anni alla guida della Provincia, come “consigliato” dal suo stesso partito. Palazzo vecchio, sede del municipio e uno dei simboli di Firenze, viene fatto coincidere con il vecchio palazzo: bersaglio polemico della retorica anti-politica italiana, luogo chiuso e separato dal resto della società.

Questo articolo è firmato dall’autore del  libro “Il partito del capo – da Berlusconi a Renzi” (Maggioli Editore). Riprendiamo, in queste righe, una analisi sul renzismo proposta da un articolo appena pubblicato da SESP. (ndr)

Fuori è l’avviso di sfratto indirizzato alla vecchia politica: ai vecchi politici da rottamare. Ma Fuori è anche la collocazione di chi arriva dal nulla: estraneo alle élite, alle nomenclature, ai circuiti del potere politico ed economico. L’immagine centrale dell’auto-narrazione renziana è quella del leader-outsider, che lancia un attacco frontale ai politici «sempre più chiusi nei palazzi […] blindati in se stessi, asserragliati nel loro mondo». Del leader che, per marcare la propria diversità, adotta uno stile e un linguaggio fuori dagli schemi: schietto e popolare, informale e anticonformista. Lontano dai codici del politichese, in sintonia con il popolo: la gente «normale». Il leader, secondo tale impostazione, è un soggetto di rottura, fatto-da-sé, sfidando l’establishment politico, l’interdizione di ogni possibile veto player, le oligarchie del suo stesso partito.

Renzi, dunque, è entrato (ancora una volta) nel Palazzo. Insieme a tante (altre) facce nuove: figure poco note, in alcuni casi persino inesperte, una squadra che rimarca ulteriormente la solitudine del Capo. È entrato nel Palazzo al posto di Letta, da alleato di Alfano: leader politici rispetto ai quali il neo-segretario Pd ha rivendicato, solo poche settimane fa, una diversità quasi antropologica.

Ma ci è entrato sfruttando le logiche più tradizionali della vecchia politica. Per questo, per preservare la propria immagine durante la sua permanenza alla guida del governo, Renzi dovrà continuare a giocare la parte del leader contro. Contro le critiche e gli avversari politici. Ma anche contro componenti della propria maggioranza, del proprio governo, del proprio partito. Contro ogni potere di interdizione e contro ogni limitazione ai poteri del premier. Contro le spinta alla conservazione, la viscosità delle istituzioni, le resistenze del sistema all’avanzata del Nuovo. Contro la propria stessa narrazione di uomo che può essere legittimato esclusivamente dalla consacrazione elettorale. Per questo, Renzi cercherà di rimanere dentro e, allo stesso tempo, fuori dal Palazzo. Contro il Palazzo: anche se adesso è lui a impersonare il Palazzo.

Fabio Bordignon @fabord

 

Fabio Bordignon

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