Province, la battaglia finale: conti con maquillage per dimostrare risparmi inesistenti

Luigi Oliveri 08/11/13
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Non essendoci elementi concreti per dimostrare l’utilità dell’abolizione delle province, il Ministro Delrio punta sul “dato emozionale”, fornendolo con dovizia ai giornali, che riprendono prontamente le sue veline. Per primo, ovviamente, il Corriere della sera, con Sergio Rizzo, che dell’abolizione delle province, richiesta a partire dal suo best seller La casta, scritta con Gian Antonio Stella, ne ha fatto un punto d’onore. Ai suoi occhi, dunque, Delrio è eroico, come Crocetta, che sta portando al disastro le amministrazioni territoriali della Sicilia.

Scrive sul Corriere del 4 novembre Rizzo, ben imbeccato dagli studi del Ministero per gli affari regionali, che con i risparmi derivanti dall’eliminazione dei costi del personale politico delle province si potrebbero:

a)      reperire 11.000 posti negli asili nido;

b)      incrementare, in alternativa, di 4 volte gli stanziamenti per il dissesto idrogeologico.

Niente meno!

Si tratta, ovviamente, di dati del tutto sgangherati. In primo luogo, si citano cifre sbagliate. Si parla di una spesa per gli organi di governo delle province di 113 milioni di euro. Intanto, sono 107, come ha accertato la Corte dei conti nel giudizio di parificazione del bilancio dello Stato 2012. Consentirà Rizzo che si tratta di fonte più autorevole delle veline ministeriali. In secondo luogo, in virtù dell’applicazione dei tagli al personale politico delle province, già stabiliti dalla legge, a regime, a partire dal 2014, questi costi si ridurrebbero a soli 34.000 euro anche si dovesse consentire alle province di andare a elezioni: i posti negli asili nido si ridurrebbero di 4 volte, sarebbero 2.750; oppure, la spesa per i dissesti idrogeologici resterebbe uguale.

In ogni caso, si tratta solo di suggestioni, prive di riscontro giuridico e contabile. Nello stesso articolo Rizzo afferma che il taglio della spesa pubblica passa ineludibilmente (perchè non si sa) per l’abolizione delle province.

Allora, delle due l’una: o i tagli alle spese delle province servono per risparmiare risorse; o, altrimenti, se quelle spese venissero dirottate verso altre attività, non si tratterebbe di tagli, ma di un modo diverso di indirizzare la spesa.

Sono due cose profondamente diverse, come capisce chiunque non si lasci trascinare dalla demagogia e sommarietà dei ragionamenti proposti per suscitare nei cittadini l’emozione ed il consenso per l’abolizione delle province.

In effetti, se si trattasse di indirizzare la spesa verso gli asili nido, non si capisce perché la scelta drastica di abolire le province: basterebbe prevedere la gratuità delle cariche politiche e modificare il bilancio dello Stato, prevedendo trasferimenti simmetrici ai comuni.

Peccato che il ragionamento non funzioni nemmeno un po’ sul piano contabile. Le risorse che spendono le province sono tratte, oggi, esclusivamente da proprie fonti di approvvigionamento, mediante entrate tributarie, extratributarie e patrimoniali. Lo Stato ha azzerato i trasferimenti presenti fino all’anno scorso nel fondo sperimentale di sviluppo.

Pertanto, abolite le province o, comunque, eliminati i costi per gli organi di governo, non esiste uno strumento contabile che possa spostare le risorse spese dalle province verso gli asili nido. E’ solo un gioco delle tre carte, un’illusione mossa per vellicare chi di contabilità pubblica capisce poco. Semplicemente, si potrebbe ridurre la pressione fiscale, per altro bassissima, derivante dalle province.

L’intero ragionamento proposto dal Rizzo col suo articolo-velina è dimostrare che i comuni sono più virtuosi delle province, che spendono e spandono. Ovviamente, mediante dimostrazioni parziali, che travisano i fatti e la realtà.

Ricordiamo, per restare agli asili nido, che essi sono di competenza dei comuni. Sugli 805 miliardi di spesa pubblica, le province incidono per poco più di 10 miliardi. I comuni per 70 miliardi. I costi della politica nei comuni sono di circa 600 milioni. E’ logico chiedersi come mai non sia stato possibile che i comuni non siano già riusciti a reperire nel mare di una spesa 7 volte maggiore di quella delle province quei 113 milioni evocati dal Rizzo, per offrire da tempo gli 11.000 posti negli asili nido, di cui si favoleggia!

Ed è opportuno ricordare che l’ulteriore gioco delle tre carte Imu – Tares – Trise – Tari – Tasi, che muove 4-5 miliardi di imposte gravanti sui cittadini, si gioca sulle entrate dei comuni, nei confronti dei quali i tagli non sono ammessi e previsti: per forza, l’Anci, l’associazione dei comuni italiani, è molto ben rappresentata nel Governo esattamente dal Ministro Delrio che ne è stato presidente fino a poco tempo fa. Tutto il gioco sulle imposte locali e lo sgradevole balletto di cifre si muove dalla circostanza che i comuni, lungi dal pensare nemmeno lontanamente di realizzare con le proprie ingentissime entrate gli 11.000 posti negli asili nido di cui parla Rizzo, non hanno la minima intenzione di ridurre le loro entrate e conseguenti spese (per altro, anche a ragione, perché comunque negli anni passati hanno contribuito non poco ai tagli alla spesa pubblica).

Del tutto fantasiose e prive di riscontri seri, poi, sono le stime sulle spese di riscaldamento che il Ministero ha passato a Rizzo, che le riproduce in modo acritico, sempre finalizzate a far credere che le province siano fonti di spreco, a differenza dei comuni.

Rizzo e, per sua voce Delrio, mirano proprio a dimostrare che gli asini volano e, cioè, che il global service su un sistema di scuole possa costare di più di tanti singoli appalti.

E’ l’innovativa concezione che le economie di scala si conseguano non agglomerando i centri di spesa, ma moltiplicandoli.

Ovviamente, si tratta di un’argomentazione che non ha nemmeno un minimo di credibilità, che si cerca di dimostrare mediante l’espediente di far vedere che il singolo comune incontra un costo a metro quadro per riscaldamento in certe province superiore al costo a metro quadro incontrato da alcune amministrazioni provinciali.

Argomentazione pelosa e vistosamente fuorviante. Basta dare un’occhiata allo studio del servizio studi del Senato “La documentazione trasmessa dal Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa. Una sintesi delle metodologie e dei risultati”, per rendersi conto dell’eccesso di spesa dei comuni (in questo caso, quelli superiori ai 100.000 abitanti), di circa il 23% di quello che sarebbe ammissibile, per acquisizione di servizi intermedi (forniture e servizi).

Lo capisce qualsiasi studente alla prima settimana di scienza dell’amministrazione o economia che le province possono effettuare, per le scuole, un appalto unico concernente il riscaldamento e le manutenzioni, nonché gli arredi, con una base di gara molto elevata, che garantisce la necessità di attivare gare col sistema della procedura aperta (l’ex asta pubblica) e un prezzo unitario molto contenuto, in funzione della notevole quantità acquisita.

Una volta che la manutenzione e gestione delle scuole vada ai comuni, ovviamente vi sarà una moltiplicazione almeno per 15 delle stazioni appaltanti in questo ambito, in totale spregio delle norme di legge che vorrebbero la concentrazione degli appaltatori; vi sarebbe un utilizzo molto inferiore delle convenzioni Consip, vista la bassissima propensione dei comuni ad utilizzarla; vi sarebbe la certezza dell’incremento esponenziale di appalti assegnati per procedura negoziata, cioè trattativa privata, a causa dell’abbassamento drastico delle basi di gara. Le conseguenze sarebbero una lesione alla concorrenza, l’opacità del mercato, l’incremento dell’inefficienza.

Paragonare il costo a metro quadro della singola scuola comunale al costo a metro quadro della scuola gestita dalla provincia è un espediente davvero proprio di chi non ha argomenti. Perché il ministero non ha passato al Rizzo il costo medio a metro quadro affrontato dai comuni, invece di riferirsi all’isolato caso di un costo inferiore? Perché non ci si chiede come mai, allora, tutti i comuni, non solo quelli “virtuosi” non abbiamo il costo a metro quadro “di eccellenza”.

Poi, anche in questo caso lo capisce qualsiasi iscritto al terzo anno dell’istituto per geometri che il costo a metro quadro della scuola comunale, un asilo nido, una scuola elementare o media, è diversissimo da quello di una scuola superiore. Per altro, quel geometra spiegherebbe a Rizzo e allo staff del Ministro Delrio che per il riscaldamento si deve computare il costo a metro cubo e non a metro quadro. Le scuole superiori sono mediamente molto più grandi, obsolete (non è da dimenticare che vennero consegnate circa 13 anni fa alle province dai comuni in stato di vero e proprio sfacelo), dispongono di molti più laboratori e di palestre di ampie dimensioni, tali da comportare un costo operativo sensibilmente diverso da quello che affrontano scuole di più contenute dimensioni e dal minor numero di servizi interni.

Anche in questo caso, si vuole solo suscitare emozione, fornendo dati disomogenei ed a casaccio, perché non si riesce a smentire con argomentazioni uguali e contrarie gli studi e le stime fornite dall’Unione province italiane (Upi), che proprio tenendo conto dell’effetto disgregativo della soppressione delle province, stima un incremento dei costi di gestione delle scuole che, nell’ipotesi peggiore, potrebbe andare verso i 2 miliardi.

Ma, Rizzo, preso dal dare risalto solo alle veline ministeriali, non si pone una domanda, che da attento giornalista esperto di questi connesse alla spesa pubblica, avrebbe dovuto chiedersi. Se fosse vero che dalla soppressione delle province derivassero questi mirabolanti risparmi (ovviamente, a condizione che la riforma non comporti alcun costo, il che è ovviamente indimostrabile) di cui solo ora il Ministro Delrio si accorge, perché non hanno previsto questa fonte di taglio e finanziamento di asili nido o minor costo del riscaldamento delle scuole nella legge di stabilità? Se i risparmi di cui ora favoleggia il Ministro Delrio fossero davvero di 2,5 miliardi circa, perché crucciarsi per la Trise o elemosinare solo 10 euro di cuneo fiscale? Come mai nel disegno di legge, presentato a luglio, non vi è il minimo cenno ai tagli di spesa, addirittura 2 miliardi dice solo ora Delrio? Perchè nelle relazioni tecnica e illustrativa al ddl non si vede nemmeno un cent di riduzione della spesa? Non è strano che solo adesso spuntino mirabolanti cifre di risparmio, solo per destare consenso buon mercato, ben sapendo che i 2 miliardi di risparmio sono concreti come vero era che il cuneo fiscale non era di soli 14 euro?

 

 

 

Luigi Oliveri

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