I tre amici discutono di medicina…vecchia e nuova

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Giovedì mattina al bar il pediatra era al settimo cielo. Si avvicinava a dicembre il giorno del suo pensionamento dal servizio pubblico ed era appena uscito per Maggioli il suo libro “Pediatri e Bambini” in cui aveva intervistato i decani della pediatria italiana. Cinquant’anni di vita professionale, cinquant’anni di vita italiana, un periodo aureo in cui la pediatria italiana era stata ricostruita dalle fondamenta, in cui, come diceva Panizon, grande pediatra di Trieste e amico di Claudio Magris, “il tempo passava portando sapere e ammansendo la povertà. E anche la democrazia cresceva…”. E la pediatria, la sanità di domani? ,dissi io, forse che aziendalismo, privatizzazione, burocrazia, non corrono il rischio di soffocare l’energia nascente in ogni giovane medico, in ogni gruppo di lavoro? Certo il rischio esiste, rispose il pediatra, soprattutto ogni volta che sfuma la democrazia e si riaffaccia alla porta la povertà. Il professore di filosofia invece non concordava col ritratto ottimistico della medicina moderna tracciato dal pediatra. Come paziente anzi lamentava che i medici in ospedale e in ambulatorio, indaffarati davanti ai loro computer e ai loro protocolli, assomigliavano sempre più a delle macchine automatiche piuttosto che a delle persone che incontrano altre persone. E’ vero, confermò lo psichiatra, la tecnologia aveva in effetti contribuito a questo cambiamento: un interessamento al corpo e assai poco all’anima, alla psiche, alla storia di vita dei malati. Non solo meno tempo all’ascolto e al dialogo, ma anche al contatto fisico tra medico e malato, la visita attraverso i sensi del medico sul malato ormai non esisteva più, tutto era mediato da strumenti e macchine che si frapponevano tra dottore e paziente.

La discussione si stava animando quando squillò il cellulare del pediatra, che si alzò dal tavolo e si appartò per rispondere. Al ritorno lo vedemmo agitato e gli chiedemmo tutti in coro che cosa fosse successo. La solita madre ansiosa, rispose, che mi perseguita per ogni piccolo malessere della figlia. E’ già la seconda volta che mi chiama perché la bimba ha un po’ di mal di pancia senza febbre né vomito. La città è piccola e dalla età della bambina e dalla descrizione delle caratteristiche della mamma, capii chi era, abitava vicino a me e conoscevo bene lei, la sua famiglia, la sua casa. Mentre tutti si alzavano per prendere il treno, dissi sottovoce al mio amico pediatra che quell’ansia si spiegava bene, la signora aveva avuto una madre ancora più ansiosa di lei e un padre separato rifiutante e arrogante, una adolescenza senza radici da un paese all’altro, fino al matrimonio e ai figli che le avevano ridato fiducia in se stessa. Il pediatra mi ringraziò e ammise salutandomi che forse doveva conoscere di più le famiglie, andare a casa loro, come raccontava nel suo libro il vecchio pediatra di Calabria Pasquale Alcaro: “Diventare di casa in tante case. Diventare di famiglia in tante famiglie…Se la pazientina era femmina, visitavo prima la bambola tenuta dalla paziente diventata mammina; se era un maschietto palleggiavo di testa, si trovava sempre un pallone in casa, ed ero diventato bravissmo, fino a 40 palleggi prima che il pallone cadesse…”.

Francesco Ciotti

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