Compensi Avvocati: scontro tra Consiglio nazionale forense e Antitrust

Redazione 26/07/13
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L’Antitrust mette sotto stretta osservazione il Consiglio nazionale forense e apre una istruttoria che verosimilmente si concluderà entro ottobre per stabilire se il Cnf ha messo in atto due diverse intese per circoscrivere l’autonomia dei singoli avvocati nella determinazione dei compensi e nella ricerca di nuova clientela. Nelle mire dell’Antitrust, chiarisce una nota, una circolare relativa alle tariffe minime e un parere sui siti internet che offrono prestazioni professionali con compensi ridotti avrebbe limitato l’autonomia dei singoli professionisti.

Nella ricostruzione dell’Autorità, il Cnf ha pubblicato alla voce “Tariffe” sul proprio sito istituzionale  i decreti ministeriali 127/04 e 140/12 (sui parametri per la determinazione delle parcelle), accompagnati da una circolare del 2006, in si dichiara che, indipendentemente dagli interventi di liberalizzazione del 2006, continua ad essere sanzionabile deontologicamente il professionista che non rispetta i livelli minimi tariffari.

Nella circolare viene spiegato infatti che, nonostante le tariffe minime non possano più essere considerate obbligatorie per legge, niente vieta che gli avvocati si mettano d’accordo con le parti contraenti per l’impiego delle tariffe previste dal ministero. Ad ogni modo, il comportamento dell’avvocato che richiede un compenso inferiore al minimo tariffario può comunque incorrere in una sanzione in virtù degli articoli 5 e 43, punto II del codice deontologico forense.

Il contenuto della circolare, per l’Antitrust, “appare, pertanto, idoneo a limitare non solo la portata liberalizzatrice del Decreto Bersani, che esplicitamente aveva eliminato l’obbligatorietà delle tariffe fisse e minime, ma anche quella introdotta ad opera dell’articolo 3 del Dl 138/11 e dell’articolo 9 del Dl 1/12, che hanno abrogato la tariffa professionale tout court”. Il Cnf, inoltre, nel parere n. 48/12, considera che l’impiego da parte degli avvocati di siti internet non è compatibile con il divieto di accaparramento della clientela determinato dall‘articolo 19 del codice deontologico forense.

Il loro utilizzo determinerebbe, per il Cnf, lo svilimento della prestazione professionale da contratto d’opera intellettuale a questioni di prezzo e convenienza economica. Questa posizione però, almeno per l’Antitrust, sarebbe limitante sia per gli avvocati, che non hanno a disposizione un canale di rilievo di distribuzione dei servizi professionali e uno strumento per attirare nuovi clienti, sia per i consumatori che non potranno beneficiare di una maggiore offerta a prezzi più vantaggiosi.

Il Consiglio nazionale forense ha replicato seccamente che è ormai cosa nota ai più che il sistema tariffario non esiste più e che le tariffe minime, già non più vincolanti dal 2006, sono state abrogate dal decreto Cresci – Italia. Quanto alla seconda osservazione fatta dall’Antitrust, il Cnf evidenzia come le posizioni critiche dell’Autorità in merito al codice deontologico forense sono famigerate, senza però che siano mai giunte a sanzioni da parte dei giudici amministrativi.

A tal proposito, l’articolo 19 si limita a proibire l’intermediazione di agenzie e procacciatori per ottenere nuovi clienti; ” non è una preclusione generale che impedisce agli avvocati di allargare la loro quota di mercato (per usare un termine caro all’Agcm) ma solo di farlo tramite mezzi illeciti”.

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