Reato di omosessualità: chi è perseguitato ha diritto all’asilo

Letizia Pieri 12/07/13
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Ai sensi della normativa Ue le persone che richiedono lo status di rifugiati sostenendo di essere perseguitate a causa del rispettivo orientamento omosessuale possono essere ricomprese entro un “particolare gruppo sociale”, e pertanto averne pieno diritto.

E’ questo l’esito giuridico, anche se non vincolante, a cui è giunta l’avvocato generale Eleanor Sharpston nelle proprie conclusioni dinanzi alla Corte di giustizia di Lussemburgo. La soluzione prospettata dalla legale costituisce la risposta alle questioni sollevate dal Consiglio di Stato olandese ai fini della stabilizzazione delle modalità valutative con riguardo a tre domande richiedenti la qualifica di rifugiato.

Il parere dell’avvocato generale Sharpston avvalla l’orientamento secondo cui, nonostante la qualificazione di reato per gli atti omosessuali nei Paesi d’origine dei richiedenti non costituisca di per sé un’azione di carattere persecutorio, le autorità nazionali sono tenute, altresì, a valutare la concreta ricorrenza della possibilità che la persona possa essere soggetta ad atti giudicabili come persecutori.

La congiuntura giudiziaria è, infatti, nata dalla richiesta di tre cittadini originari rispettivamente della Sierra Leone, dell’Uganda e del Senegal. Gli extracomunitari, tutti e tre omosessuali, hanno avanzato la richiesta di ottenimento dello status di rifugiati nei Paesi Bassi, dietro il dichiarato, fondato, timore di divenire nei rispettivi Paesi d’origine oggetto di persecuzione proprio a causa del rispettivo orientamento sessuale.

E’ cosa oggettivamente comprovata, in tal senso, che i comportamenti di ‘stampo’ omosessuale siano configurabili come illeciti degni di pene alquanto severe nella tripletta completa dei Paesi in questione. Sierra Leone, Uganda e Senegal, infatti, puniscono duramente le manifestazioni omosessuali con condanne comprese tra pesanti sanzioni pecuniarie e pene detentive che possono addirittura sfociare nell’ergastolo.

Purtroppo sono ancora tanti gli Stati in cui le differenti scelte sessuali, che dovrebbero peraltro rimanere più lecitamente mantenute entro la sfera del privato sempre che non contrarie al rispetto ‘umano’ oltre che normativo, sono considerate violazioni dirette della c.d. legge morale. Ma di quale moralità può parlarsi se anche delle semplici manifestazioni d’amore, seppur considerate ancora poco convenzionali, vengono punite con condanne degne delle più atroci crudeltà?

Seguendo i dettami della sharia, il diritto islamico, essere gay costituisce una violazione palese dei precetti di Allah a cui va attribuita la pena di morte. Non sono poche le disumane esecuzioni che hanno colpito, e in alcune parti del mondo continuano a farlo, persone totalmente innocenti, giudicate colpevoli per aver deciso di amare alla luce del sole il ‘sesso’ sbagliato.

Le mobilitazioni internazionali, sorte a difesa dei diritti degli omosessuali, sembrano rappresentare ancora una luce fioca all’interno di un vasto cielo oscuro. Non si tratta di precetti religiosi o tanto meno di giudizi di forzata condivisione, ma l’unica cosa che oggi sembra diventata davvero imprescindibile è il riconoscimento, almeno, di una configurata persecutorietà nei confronti di chi ingiustamente è colpevolizzato solo per essere ‘diverso’. La diversità rimane sempre un grande valore.

Letizia Pieri

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