Casa in comodato dopo la separazione: per la Cassazione da riesaminare

Redazione 19/06/13
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La Terza Sezione civile della Cassazione, nonostante il pronunciamento 13603/2004 delle Sezioni unite sembrava aver risolto i dubbi sulla questione, è tornata a riflettere sul complicato argomento della ‘casa in comodato’ in caso di intervenuta separazione dei coniugi che la abitano. L’ipotesi, infatti, è tutt’altro che infrequente, in modo particolare la circostanza assume margini di difficile definizione quando l’abitazione è di appartenenza dei genitori di uno dei due coniugi, al quale viene concessa in virtù della prospettiva matrimoniale, presumibilmente in attesa di una sistemazione maggiormente adeguata. Spesso però accade che i coniugi, una volta sposati e magari con famiglia allargata, di altra sistemazione non ne vogliano sentir parlare; in tal caso quando interviene la pratica di divorzio ‘l’aggravante’ dei figli fa sì che nel 90% delle situazioni l’abitazione venga affidata alla moglie. La pronuncia che risale al 2004 delle Sezioni unite, per diramare le perplessità in materia, non aveva fatto altro che fissare alcuni specifici paletti.

In primis, si era esclusa l’idoneità del provvedimento giudiziale di assegnazione, pur rappresentando “nuovo e autonomo” titolo di godimento dell’assegnatario, a modificare “la natura e il titolo di godimento dell’immobile”; veniva altresì sancito il diritto del coniuge assegnatario a rimanere entro il rispettivo contenuto modellato dalla disciplina del titolo negoziale preesistente, ferma restando l’importanza della concessione del bene perché fosse utilizzata come casa familiare, parallelamente escludendo che la chiusura del vincolo coniugale facesse decadere in maniera automatica anche quello a casa familiare. La Terza Sezione civile tuttavia, tornando a disquisire sulla delicata questione, dietro la rassegna degli orientamenti emersi in questi ultimi anni, ha evidenziato due passaggi ritenuti fondamentali. Prendendo in considerazione proprio la significatività del vincolo di destinazione a casa coniugale, il primo punto comprende l’urgenza di determinare le modalità e le tempistiche con cui far cessare tale vincolo, stabilendo altresì quale sia il regime di relativa opponibilità.

In tal caso, la Terza Sezione civile ha operato un distinzione di riguardo: una situazione si relaziona alla contingenza che vede il comodato essere stato costituito quando il comodante ancora non conosceva il futuro coniuge, l’altra invece concepisce la nascita del comodato una volta che il nucleo familiare era già pienamente formato. Nel secondo caso a differenza del primo, pur non potendosi comunque negare il diritto all’abitazione, come ribadito dalla Cassazione, anche coniuge ed eventuali figli diventerebbero parti contrattuali. Secondo il parere della Suprema Corte, Terza Sezione civile, le Sezioni unite nel pronunciamento del 2004, pur avendo decretato la necessaria tutela del diritto di proprietà del comodante, erano paradossalmente giunte ad effetti contrari attraverso la negazione al soggetto comodante della recedibilità ad nutum in riferimento all’articolo 1810 del Codice civile e mediante l’affermazione della connessione diretta tra durata dell’attribuzione e persistenza della destinazione dell’immobile a casa familiare. La sentenza depositata ieri prende in considerazione altre strade, come ad esempio la concessione al coniuge assegnatario di un “congruo termine” che si riveli competente per individuare un altro alloggio. La questione, in sostanza, per la Cassazione va portata al completo riesame delle Sezioni unite, rimettendo il caso al primo Presidente per l’eventuale assegnazione.

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