Riforma pensioni: oltre gli esodati, la flessibilità per contenere la spesa

Redazione 06/06/13
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Non ci saranno soltanto le detrazioni per le uscite in anticipo, nel prossimo futuro, a rendere le mensilità delle pensioni più basse: a ridurre gli esborsi statali per le pensioni ci sta già pensando la riforma Fornero, in vigore da ormai un anno e mezzo e che solo ora sta producendo i primi, significativi risultati sul fronte del contenimento della spesa.

Dunque, flessibilità sì, come ulteriore impulso a un risparmio che la cura dell’ex ministro del Welfare sta già producendo, oltre, come noto, al grande problema degli esodati, quantificabili in circa 300-400 mila unità, una fetta di prestazioni non erogate che, indubbiamente, ha il suo peso nel conteggio della spesa pensionistica.

Il punto sui fondi che annualmente vengono destinati alle pensioni degli italiani è stato realizzato dalla Ragioneria dello Stato, che ha divulgato in questi giorni un rapporto sui trend in atto e sulla sostenibilità dei sistemi delle pensioni e di quello socio sanitario.

Per la verità, spiegano i contabili dello Stato, in una prima fase anche l’austerità di una delle leggi più contestate e criticate, non è riuscita ad arginare la salita della spesa sociale, e questo, a parere dei relatori del rapporto, principalmente a causa della crisi economica che ancora quest’anno sta mordendo le caviglie dei privati, ma anche delle finanze pubbliche.

Tuttavia, i 20 miliardi di euro che la legge Fornero ha promesso di conservare nelle casse statali entro il 2020, potranno essere garantiti in virtù dei nuovi criteri di accesso ai trattamenti, oltre all’innalzamento dell’età pensionabile, calibrato all’aspettativa di vita crescente. Oltre a ciò il pieno appoggio al sistema contributivo e l’aggiornamento dei coefficienti hanno completato una delle riforme più dure della storia del welfare italiano, che quantomeno dovrebbe raggiungere lo scopo di bloccare la crescita impazzita dei costi delle pensioni. Così, è possibile, spiega la Ragioneria, che entro il 2029 i pagamenti previdenziali possano scendere al 14,9% del Prodotto interno lordo, per poi tornare a crescere successivamente oltre il 15% intorno al 2040.

Quindi, arrivando al 2060 la flessione si rivelerà ancora più marcata, potendo calare al di sotto del 14%, per un trend negativo, previsto per i prossimi 50 anni, che non trova facili paragoni nella zona euro, dove tutti gli indici di spesa previdenziale dei vari Paesi sono destinati a crescere sensibilmente. Anni che possono sembrare lontanissimi, ma che invece disegnano il futuro pensionistico della popolazione oggi nel pieno dell’età lavorativa.

C’è però da sottolineare un altro aspetto, molto meno gradito, per i futuri pensionati: il rapporto tra l’ultimo stipendio incassato e la prima pensione ricevuta, per effetto di queste riforme, tenderà a contrarsi proprio come le finanze statali dedicate al comparto previdenziale. L’esempio proposto dai tecnici dello Stato si riferisce a un lavoratore dipendente che a 65 anni e 4 mesi decide di concludere la propria carriera dopo 38 anni di contributi, vedrà la proporzione decrescere dall’83,2% del 2010 al 77,6% del 2030, mentre per gli autonomi sarà vera e propria stangata con il passaggio dal 94% al 68,6%. Resta da vedere, infine, come queste previsioni potranno coniugarsi con la “controriforma” già annunciata dal ministro Giovannini e dal premier Enrico Letta: se, da una parte, le uscite anticipate dovrebbero incrementare marginalmente la spesa pubblica per le pensioni, dall’altra la flessibilità che consentirà di restare sul posto di lavoro fino a 70 anni potrebbe fungere da calmiere analogo per assicurare la stabilità delle previsioni sul medio-lungo periodo.

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