Grillo e l’uso sbagliato della rete: parla Assange, capo di WikiLeaks

Letizia Pieri 31/05/13
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A distanza di un anno, Julian Assange, co-fondatore e caporedattore di WikiLeaks, è ancora rifugiato presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra, avendo chiesto asilo politico al Paese sudamericano in quanto ‘perseguitato’. Nonostante la forzata reclusione il giornalista/programmatore australiano, che continua ad autodefinirsi un anarchico ed un libertario, lavora ancora molto attivamente. Prima, attraverso il talk-show settimanale “The World Tomorrow” che lui stesso ha condotto dall’abitazione in cui si trovava agli arresti domiciliari, andato in onda per la prima volta il 17 aprile 2012 sul canale televisivo Russia Today, formato, in ogni puntata, da un’intervista di circa 25 minuti rivolta ad uno o massimo due ospiti; e ora, con la candidatura a sorpresa al Senato australiano, annunciata il 30 gennaio 2013 dalla premier del partito laburista Julia Gillard. Secondo le normative vigenti nella terra dei canguri infatti, pur a fronte dell’‘l’esilio’ all’ambasciata dell’Ecuador, Assange è comunque libero di candidarsi, a condizione tuttavia che il rientro in patria avvenga entro i prossimi sei anni. Sembra essere la stessa premier Gillard a premere fortemente per la presenza di Assange, in quanto, sono le sue stesse parole, “potrebbe garantire un po’ di vigilanza all’interno del Senato”. L’attivista, intervistato oggi da l’Espresso, è tornato a ribadire la propria posizione su un tema a lui particolarmente congegnale, la cosiddetta rivoluzione 2.0, da lui anche definita, in un noto libro dall’omonimo titolo, “Cypherpunks”.

“La tecnologia di per sé tende alla centralizzazione -ha spiegato Assange– perché è complessa da realizzare e dunque richiede specializzazione e accentramento”. L’esempio riportato dalla ‘mente’ di WikiLeaks ha a che fare con “le grandi aziende di Internet”, strutture organizzative sempre più complesse ed articolate che per spirito di preservazione sono spinte con maggiore frequenza “a fondersi con lo Stato”. L’altro lato, questa volta però positivo, della ‘medaglia sociale’ sempre più cibernetica “è la democratizzazione”, sottolinea Assange. E sarebbe proprio la recente morfologia politica il sintomo maggiormente proporzionale a questa nuova spinta democratica di emancipazione partecipativa allargata a tutti cittadini. In rapporto alla situazione italiana, “questo è possibile vederlo con Beppe Grillo. –incalza il guru degli hackers- Io non so come il suo movimento politico si sia formato esattamente, ma è qualcosa che ha senso: è il risultato di una nuova politica che prende forma molto rapidamente grazie ad internet e che fa breccia nella barriera delle comunicazioni eretta dai media tradizionali”.

Assange ammette comunque di non essere sufficientemente informato sulla genesi e sugli sviluppi dello ‘tsunami’ a 5 stelle, “lo osservo a fasi intermittenti da tre anni. -specifica il programmatore australiano– Il suo successo è innegabilmente impressionante dal punto di vista politico e logistico. (Grillo) E’ uno dei pochi politici italiani che ha supportato pubblicamente me e WikiLeaks durante la tempesta. E questo va a suo credito”. Quello di Assange nei confronti del leader genovese non è tuttavia un vero e proprio endorsement; interrogato infatti in merito alla plausibilità ed all’efficacia dell’utilizzo della rete internet, oltre che come megafono, come oracolo decisionale collettivizzato, il co-fondatore di WikiLeaks si mostra scettico. “Io non credo che sia necessario dare alla gente quello che la gente pensa di volere in termini specifici. -ha così ammonito- Le persone vogliono essere trattate in modo giusto, vogliono che gli esseri umani a cui sono legate siano trattati con compassione e rispetto e che le decisioni che le riguardano siano prese in modo intelligente e non come risultato della stupidità o della corruzione”. Lo sguardo che Assange riserva ai tentativi grillini di utilizzare il mezzo telematico come piattaforma consultiva e decisionale pratica non è dunque positivo. “Sebbene io sia convinto che la democrazia diretta sia molto importante per controllare gli eccessi dei leader politici –torna ad affermare- credo che le persone siano impegnate a vivere le proprie vite e non dovremmo aspettarci che si impegnino nelle questioni specifiche della politica o nell’avere a che fare con le burocrazie e gli affari esteri”. “Vogliono delegare queste funzioni a persone di cui si possono fidare, -arriva così a concludere Assange- esattamente come quando si arruola un avvocato per andare in tribunale”.

Letizia Pieri

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