Una relazione pericolosa. Giudice-amante in un giudizio di separazione

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Non deve essere stato un momento esaltante quello in cui una “giudice” nell’esercizio delle sue funzioni, nel corso di un’udienza civile relativa ad un giudizio che vedeva come attore un avvocato, ha visto motivare l’istanza di ricusazione nei suoi confronti sulla scorta della circostanza, peraltro vera, che lei, proprio lei, era stata l’amante di un assistito dell’avvocato attore in giudizio in quella causa di risarcimento del danno.

Il feuilleton ci sta proprio tutto… L’amante-giudice del cliente dell’avvocato da risarcire… un intreccio niente male se non fosse che i “panni sporchi” sciorinati in quell’udienza civile sono stati “asciugati” ( ca va sens dire!) in quella penale e così il “ricusatore” è finito condannato ai sensi dell’art.343 cp.

In appello, la svolta con l’assoluzione in base alla considerazione che :”con la frase incriminata il P., al di là delle modalità eccessive adoperate, non avesse altro intento che quello di ottenere l’astensione della I., come confermato anche dal fatto che le aveva anteriormente rivolto un riservato invito in tal senso.”

Ma alla giudice, parte lesa, questo finale non è proprio piaciuto ed ha proposto ricorso per Cassazione censurando che : “la valutazione soggettiva della condotta ascritta all’imputato, assumendo che la natura dell’espressione da lui adoperata, considerato anche il momento dell’insorta relazione sentimentale, successivo all’avvio del procedimento di separazione coniugale del B (il cliente dell’avvocato… ndr), era intrinsecamente oltraggiosa, e cio è sufficiente a integrare il dolo del reato, non rilevando in contrario la lecita finalità ricusatoria perseguita.”, quasi che il discrimine sia rappresentato non dal fatto in sé (eppure l’obbligo di fedeltà in teoria non cessa con la separazione…) quanto piuttosto dall’avvio del procedimento di separazione.

Gli Ermellini in toga hanno ritenuto il ricorso infondato, riconoscendo che: “Il giudice d’appello, invero, dopo aver riconosciuto sussistente – con confessata “difficoltà” – l’elemento oggettivo del reato, ne ha escluso l’elemento soggettivo, in base al rilievo che il passaggio della dichiarazione concernente la relazione extraconiugale, in ragione del suo riferimento non direttamente alla I.( la giudice…) ma al B.(il cliente dell’avvocato da risarcire), e del contesto in cui la dichiarazione fu resa ( un giudizio di risarcimento del danno promosso dall’avvocato di B contro il Comune per altre ragioni …ndr), finalizzato alla richiesta di ricusazione e connotato da un previo corretto invito all’astensione rivolto alla I., non può considerarsi in sè manifestamente offensivo (circostanza che sarebbe intrinsecamente integrativa del dolo) e si risolve in definitiva in una mera formale illustrazione della situazione legittimante l’istanza ricusatoria. Tale rilievo appare logico e ragionevole; nè a diverse conclusioni può condurre la precisazione che la relazione fra la I. e il B. sorse solo dopo che quest’ultimo aveva avviato il procedimento di separazione dalla moglie, posto che, da un lato, tale circostanza (allo stato peraltro non verificabile) non escludeva comunque il “rapporto di coniugio” (onde la dichiarazione non può essere tacciata di falsità) e, dall’altro, come si è detto, la carica di offensività comunque attribuibile all’espressione in esame non riguardava certamente in via diretta e pregnante la I. bensì il B.

“Certe donne amano talmente il proprio marito che per non sciuparlo prendono quello delle loro amiche.” Alexandre Dumas padre

 

Maria Giuliana Murianni

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