Quirinale, pro e contro Romano Prodi presidente della Repubblica

Scarica PDF Stampa
Romano Prodi potrà essere un presidente di tutti? E’ questo il maggiore interrogativo che grava sulla candidatura del Professore emiliano alla carica di Capo dello Stato, tornata prepotentemente in voga dopo la sua inclusione nella cerchia dei 10 nomi preferiti dal MoVimento 5 Stelle.

Quasi in contemporanea ai risultati delle “Quirinarie”, però, dal palco di Bari, Silvio Berlusconi gridava “se Prodi viene eletto, tutti noi ci trasferiremo all’estero”, con la piazza che inneggiava al Cavaliere, già autocandidato premier alle prossime elezioni.

La domanda, dunque, è se davvero Romano Prodi può essere quel presidente di pacificazione che tanto servirebbe al Paese, magari continuando l’opera di Napolitano, da garante della Costituzione e in grado di evitare favoritismi verso le fazioni politiche, malgrado la propria, riconosciuta appartenenza.

Sulla figura umana e accademica di Romano Prodi, permangono ben pochi dubbi: professore che gode di stima unanime in Italia e all’estero, già ministro per pochi mesi negli anni ’70, è poi rientrato prepotentemente in scena con la doppia presidenza dell’Iri, che indubbiamente rappresenta, forse ancor più dell’esperienza politica, il vero punto centrale del suo impegno sulla scena pubblica.

Gli anni che il Professore trascorse all’Iri furono i più turbolenti dal punto di vista economico della prima Repubblica: dal 1982 al 1989 e poi tra il 1993 e il 1994, finché al governo si affacciava per la prima volta proprio il Cavaliere, segnale inequivocabile che tra i due fosse già conclamata una forte incompatibilità.

Le privatizzazioni messe in atto da Prodi, per quanto ripianarono il disastrato bilancio dell’ente, sono ancora oggi fonte di forte dissidio anche politico. Già all’epoca, scossero profondamente il mondo dell’economia e della finanza, con l’allora capo di Mediobanca Enrico Cuccia che guidò la crociata contro la linea del Professore democristiano. Come si è ricordato di recente con la morte di Margaret Thatcher, era il decennio delle privatizzazioni selvagge e l’Italia cercò di accodarsi, ma “alla sua maniera”, con decisioni talvolta controverse che si trascinarono fin nelle Aule dei tribunali, come testimonia il caso Sme e le prime, forti scintille con Silvio Berlusconi ancora imprenditore, intento a bloccare la vendita a De Benedetti per conto di Bettino Craxi.

Ecco perché tra i due – Prodi e Berlusconi – non è mai corso buon sangue: con politica ed economia così strettamente correlate, erano tra i maggiori esponenti di due emisferi contrapposti, incompatibili, al punto che, pochi anni più tardi si sarebbero sfidati in prima persona al calor bianco delle urne.

Il duello avvenne nel 1996: la spuntò il Professore grazie alla Lega Nord che si staccò temporaneamente dall’ala berlusconiana correndo in solitudine. Il governo di Prodi dal 1996 al 1998 è ricordato e a ragione, come il governo dell’Euro: i sacrifici chiesti agli italiani per entrare nel club di prima fascia della moneta unica furono le due facce di un vero miracolo, firmato da Prodi e Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro di un esecutivo – questo sì – a 5 stelle, che comprendeva anche Giorgio Napolitano al Viminale.

Se, oggi, l’ostilità crescente alla moneta europea può indurre a ritenere come l’Italia firmò la sua condanna legandosi all’euro in maniera definitiva, in realtà all’epoca il risultato fu accolto con grande entusiasmo dall’opinione pubblica, e ciò nonostante l’introduzione della famigerata “eurotassa”.

Come risultato, tre anni più tardi Carlo Azeglio Ciampi fu eletto Presidente della Repubblica al primo scrutinio, con 707 voti, ben oltre i due terzi richiesti, grazie all’assenso anche di Forza Italia e Alleanza nazionale e Ccd, nelle personalità di Berlusconi, Fini e Casini, che dunque appoggiarono convintamente uno dei principali artefici dell’ingresso dell’Italia nella moneta unica.

Quindi, nel settennato di Ciampi, Romani Prodi divenne presidente della Commissione europea, in un lasso temporale in cui l’Unione conobbe lo sviluppo più rapido – forse anche troppo – in termini di popolazione e di allargamento dell’area economica. Nel 2006, quindi, il secondo round elettorale contro Berlusconi, che vide prevalere di nuovo il centrosinistra, ma solo di 24mila voti, con il Cavaliere che per mesi gridò ai brogli.

Dopo la seconda, mesta esperienza di governo, chiusa nel gennaio 2008, Prodi è rimasto sulle retrovie, svolgendo incarichi per conto delle Nazioni Unite in Africa, tenendo lezioni sui mutamenti economici in atto su La7, ma lanciando, di tanto in tanto, qualche stilettata a un Pd che aveva contribuito a fondare ma che vedeva troppo litigioso.

Alle ultime primarie, Prodi è andato alle urne, senza rendere pubblico il suo endorsement. Ciò, naturalmente, oggi gli consente di essere ben visto sia da Bersani che da Renzi. Con l’inserimento nella rosa del MoVimento 5 Stelle, dunque, si scopre che inaspettatamente il Professore gode di fan anche tra le file grilline; da ultimo, visti i trascorsi europei, è difficile immaginare che l’ex commissario Mario Monti potrà negare l’appoggio nelle ore decisive del voto.

Resta, però, il muro invalicabile del centrodestra, dove Prodi incarna l’emblema di un fisco ostile e uno dei protagonisti di quello “Stato di polizia tributaria” che Berlusconi lamenta da circa vent’anni.

Più di tutto, a giocare a suo sfavore è la doppia corsa a premier, con la fortissima polarizzazione elettorale che ne seguì: la sua candidatura al Quirinale, per quanto prestigiosa e rinomata, in Italia non può non essere letta come “di parte” da molti cittadini, forse ancor più di quanto lo fu “l’ex comunista” Napolitano, che pure passò coi voti del solo centrosinistra.

Insomma, che Romano Prodi abbia le carte in regola per aspirare al Quirinale, non ci sono dubbi, ma una sua eventuale elezione col quorum minimo dopo il quarto scrutinio, può non essere il miglior viatico per questo Paese lacerato.

Vai allo speciale Quirinale

Francesco Maltoni

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento