Cellule staminali: l’odissea della piccola Sofia

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L’ANTEFATTO:

Secondo il percorso già seguìto da altre famiglie italiane, i genitori della piccola Sofia erano giunti presso gli Spedali Civili di Brescia, dove la bambina aveva iniziato la terapia che la Stamina Foundation somministrava quivi gratuitamente. Sofia, la bimba fiorentina di soli tre anni e mezzo di età, necessitava e necessita assolutamente della cura in oggetto, in quanto affetta da una grave forma di leucodistrofia metacromatica: la malattia neurodegenerativa che, in assenza di efficaci e tempestivi rimedi terapeutici, porterebbe rapidamente alla morte la giovanissima paziente. Sembrerebbe, di fatto, che le cellule staminali selezionate dalla Stamina Foundation costituiscano attualmente l’unico utile rimedio all’enorme problema di Sofia. Tratterebesi di un ciclo terapico della durata di un anno, composto da cinque infusioni a base di staminali mesenchimali. Il problema concretamente verificatosi è che, dopo la prima infusione delle staminali in oggetto, un collegio di giudici fiorentini avrebbe imposto l’interruzione della cura, adducendo la motivazione che il « metodo Stamina » è stato effettivamente bloccato dall’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) lo scorso 15 maggio 2012. La Stamina Foundation era effettivamente detentrice, fino a quel momento, di un protocollo d’intesa con gli Spedali Civili di Brescia, dei quali era ufficiale fornitrice di particolari cellule staminali, le quali « si sono dimostrate efficaci » – secondo le testimonianze di alcune famiglie di bambini affetti dalla medesima malattia di Sofia -, rientrando in un programma di cosiddette «cure compassionevoli». Sofia, dopo la prima infusione ( il programma, come già detto, ne prevedeva cinque ) aveva cessato di vomitare, e le sue pupille avevano ripreso finalmente a reagire davanti alla luce. I Nas avevano però interrotto, sulle indicazioni dell’Aifa, quegli interventi sanitari a Brescia, poiché la “cura compassionevole” veniva somministrata a troppi pazienti, non rispettando le dovute regole per la loro sicurezza. Una famiglia di Venezia aveva trovato il modo di aggirare tale ostacolo, ricorrendo al tribunale del lavoro. Ed analogamente, seguendo codesta strada, diciotto bambini di diverse città possono oggigiorno proseguire quelle infusioni a base di cellule staminali mesenchimali. Sofia, come purtroppo altri due pazienti, non avrebbe invece potuto più accedere a quella terapia, stante il pronunciamento contrario del giudice della sua città.

IL PERICOLO DI DISCRIMINAZIONE NEI CONFRONTI DEL PAZIENTE:

Dunque, in circa una ventina di casi patologici come quello di Sofia, il trattamento di Stamina Foundation, realizzato tramite cellule staminali mesenchimali, ha potuto proseguire il proprio corso terapeutico, benché bloccato dall’intervento dell’Aifa ed evidentemente sotto inchiesta. Tale ripresa è stata unicamente frutto dei decreti d’urgenza di alcuni tribunali del lavoro, i quali hanno dimostrato una maggiore flessibilità rispetto a quella usata, dai magistrati fiorentini, nel caso della piccola Sofia. Nel frattempo, anche una sentenza del Tar di Brescia ha fissato, al prossimo 20 novembre, l’udienza sui ricorsi presentati contro il blocco delle terapie della Stamina, ma ha consentito ai pazienti d i proseguire le loro cure.

L’EPILOGO DELLA VICENDA PER LA PICCOLA SOFIA:

In conseguenza di quanto sopra esposto, l’opinione pubblica, facendosi forte dell’appoggio dei mass-media, nonché di molti esponenti in vista, appartenenti al mondo della politica, della cultura e dello spettacolo, ha sostenuto che se le cure vengono comunque continuate per alcuni ammalati, « non sussistono specifiche ragioni per escludere che possano proseguire la stessa terapia i diversi pazienti che, a giudizio dei medici degli Spedali Civili di Brescia, hanno avuto un primo trattamento, senza che si siano verificati effetti indesiderati di rilievo ».

Per il caso della piccola Sofia, si sono mosse anche le più alte autorità nel campo della salute: dal ministro Balduzzi, al presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e al direttore generale dell’Aifa. Alla fine della vicenda, dunque, il ministro Balduzzi ha dato il proprio nulla osta al proseguimento delle cure per la bimba fiorentina presso gli Spedali Civili di Brescia. Proprio di quelle cure cosiddette “ compassionevoli “, iniziate secondo il discusso metodo della Stamina Foudation. Di fronte ai complessi e non omogenei interventi dei giudici di diverse città e di fronte alle sempre più insistenti pressioni mediatiche sulla vicenda della bambina affetta da una grave malattia neurodegenerativa ( che porta paralisi e cecità ), il Ministero ha dunque reso nota la propria soluzione: « A condizione che i suoi genitori diano il consenso informato », Sofia potrà tornare a sottoporsi al trattamento terapeutico staminale ( previsto dal protocollo della Stamina Foundation ) presso gli Spedali Civili di Brescia. La spiegazione del Ministero si completa, però, con un’importante, seppure limitante, precisazione: l’autorizzazione alla terapia per la piccola Sofia costituisce in assoluto un’eccezione, determinata dal fatto che la cura della bambina era già stata avviata. Per il ministro della Salute, dunque, “quanto è stato fatto concilia il rispetto delle norme e delle sentenze della magistratura con la situazione eccezionale nella quale si trova la bambina“. Resta semmai da chiarire se la suddetta autorizzazione ministeriale sia da intendersi limitata alla sola seconda infusione di staminali alla paziente ( vista l’estrema urgenza di essa ), o possa invece considerarsi estesa anche alle tre successive somministrazioni, necessarie al completamento della terapia. Giuseppe Conte, il legale della famiglia della bimba, ha probabilmente supposto che il buonsenso prevarrà, e che l’autorizzazione del Ministero della Salute consentirà il completo ciclo terapeutico previsto per Sofia. Difatti, l’avvocato ha ottimisticamente dichiarato, a commento dell’epilogo della controversa vicenda: “Questo risultato costituisce l’affermazione di un principio di civiltà giuridica: il diritto di Sofia, e di chiunque si trovi nella sua stessa condizione, di proseguire nel trattamento terapeutico concordato con i responsabili sanitari e per il quale è stato prestato uno specifico consenso informato”.

 

Antonio Ruggeri

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