Scilipoti e Razzi indagati: con De Gregorio, il funerale della Seconda Repubblica

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Meglio tardi che mai. Fino a oggi, chi, dietro i cambi di casacca che hanno segnato i passaggi parlamentari più critici degli ultimi anni, avesse  solo accennato all’intervento della magistratura,veniva tacciato di retropensiero o, in alternativa, di un gusto irrefrenabile per il complotto. Purtroppo, il mantra adreottiano “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca” ha rivelato anche stavolta il suo crudo realismo, che in un ambito disastrato come la politica italiana, spesso stupisce per rendere verosimili anche le teorie in apparenza più bislacche.

Ma, sia chiaro, non è questo il caso. Stavolta, il quadro era ben noto a tutti. Mancavano, per così dire, gli atti ufficiali. Con l’iscrizione al registro degli indagati di Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, e il caso De Gregorio in anticipo di qualche giorno, viene infine a concretizzarsi il sospetto che, per qualche tempo, in Italia sia avvenuta una vera e propria sospensione della democrazia.

Si celebra così, a una settimana di distanza dalle elezioni che promettono di ridefinire una volta per tutte il quadro politico nazionale, il funerale della Seconda Repubblica. Con i suoi personaggi più ambigui, divenuti in un lampo modelli supremi della categoria sempre folta dei voltagabbana, ma, guarda caso, sempre ben inseriti nelle stanze del potere, finalmente chiamati a rendere conto del proprio operato come rappresentanti dei cittadini, da cui – giova sempre ricordarlo – erano stati eletti.

Gli antefatti sono ben noti, ma vale la pena di ripercorrerli ancora una volta. Dopo le elezioni politiche 2006, la situazione parlamentare non era poi dissimile da quella odierna: una manciata di voti aveva permesso al centrosinistra di controllare la Camera dei deputati, mentre al Senato era battaglia quotidiana per tenere in piedi il precario governo di Romano Prodi. Il salvagente arrivava talvolta dai senatori a vita, con Oscar Luigi Scalfaro e Rita Levi Montalcini inossidabili presenti in aula, oppure dagli eletti all’estero, che consentivano una risicatissima maggioranza ai partiti di governo.

Per due anni, dietro le quinte Silvio Berlusconi e i suoi fedelissimi non lesinarono le avances nei confronti di quei senatori “insoddisfatti” della linea del governo, nella consapevolezza che una manciata di cambi di schieramento avrebbe segnato il destino della maggioranza più esile della storia repubblicana (miracoli, anche qui, del Porcellum).

E così fu. Secondo quanto si è appreso negli ultimi giorni, tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 venne messa in atto la cosiddetta “Operazione Libertà”, un sabotaggio in piena regola all’esecutivo, con capofila l’eletto dell’Italia dei Valori a palazzo Madama Sergio De Gregorio, il quale ha, di recente, confessato di aver ricevuto 3 milioni di euro in nero da Berlusconi per sfiduciare Prodi, grazie all’oculata intermediazione di Walter Lavitola, di professione latitante. Così, il 24 gennaio 2008, grazie a De Gregorio, Mastella, Dini e un certo Scalera, il Senato voltò e spalle al professore, chiudendo l’ennesima, travagliata esperienza di governo del centrosinistra, mentre in aula si mangiava mortadella e si brindava a champagne.

Con un balzo, arriviamo al dicembre 2010. Dopo il dito puntato di Gianfranco Fini a Berlusconi, accompagnato dall’ormai celebre “che fai, mi cacci?”, una pattuglia di eletti nelle file del Popolo della Libertà uscì dal gruppo di maggioranza, mettendo in serio pericolo la tenuta del governo Berlusconi. Anche, qui, si rese inevitabile il ricorso a un nuovo, drammatico voto di fiducia. Teatro, questa volta, fu invece l’aula di Montecitorio, dove il Cavaliere riuscì a spuntarla contro tutti i pronostici grazie al supporto in extremis del neonato gruppo dei Responsabili, costituito principalmente di parlamentari provenienti dall’opposizione, ma “folgorati sulla via di Damasco”, o, meglio, di Arcore. Tra questi, finirono in vetta alle cronache proprio Scilipoti e Razzi, anch’essi portati in Parlamento dall’Idv di Di Pietro, evidentemente specializzato nel reclutare professionisti del salto triplo carpiato.

Oggi, a distanza di oltre due anni, i loro nomi sono stati inseriti nel registro degli indagati dal procuratore aggiunto Francesco Caporale proprio per la vicenda dell’appoggio a sorpresa di cui si resero protagonisti. E la fattispecie di reato ipotizzata è inequivocabile: corruzione.

Tra il voto di sfiducia a Romano Prodi e l’ammissione shock di De Gregorio, invece, sono ben cinque gli anni trascorsi. Ora, dunque, la domanda da porsi è: perché aspettare tanto? E perché entrambe le vicende vengono a galla solo ora, a distanza di pochi giorni una dall’altra? Qual è la coincidenza tra lo “tsunami” delle ultime elezioni politiche, che di fatto ha spazzato via un sistema di potere ventennale, e queste indagini di cui anche il cittadino comune aveva annusato l’assoluta esigenza?

Sicuramente, domande per cui bisognerà pazientare per avere risposta, se mai ne arriverà una. Ma di questi fatti, mentre si dibatte sull’articolo 67 della Costituzione e di vincolo di mandato dei parlamentari, è bene avere memoria, in giornate decisive per la nascita di un nuovo governo appeso al filo della convenienza.

Silvio Berlusconi ringrazia personalmente Razzi e Scilipoti

 

I festeggiamenti al Senato per la caduta del governo Prodi nel 2008

Francesco Maltoni

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