Elezioni 2013, i prossimi scenari istituzionali: road map e rischio Quirinale

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La domanda che tutta Italia – ma sarebbe meglio dire, tutto il mondo – è: cosa succede adesso? Quali scenari si aprono? Lo Stato risentirà di questa incertezza inaudita?

Indubbiamente, la congiuntura che si apre sembra davvero apocalittica: crisi economica irrisolta, confusione politica mai vista che apre, oltretutto, uno stallo istituzionale attualmente senza prevedibili sbocchi.

Come abbiamo visto dai risultati finali delle elezioni, il centrosinistra ha raccolto, seppure di un soffio, la maggioranza alla Camera che, in virtù del premio nazionale, gli consente di controllare agevolmente Montecitorio, forte dei 340 deputati sparsi tra Pd, Sel e Centro democratico.

Storia inversa al Senato dove, sebbene la coalizione di Bersani abbia ottenuto su scala globale più preferenze, l’attribuzione dei seggi su base regionale non lascia il centrosinistra lontanissimo dalla quota minima per la maggioranza a palazzo Madama: 120 gli scranni occupati dal centrosinistra, contro i 158 necessari. Insomma, un abisso difficilmente colmabile, con la completa incognita del MoVimento 5 Stelle, alla Camera primo partito in Italia e al Senato forte di 58 eletti.

Intanto, però, la macchina statale dovrà cercare di proseguire, rispettando le scadenze e, soprattutto, arrivando a eleggere il nuovo presidente della Repubblica, il vero nodo di questa incertissima fase politica.

Si parte il 15 marzo, con la prima seduta pubblica del Parlamento appena insediato, quando saranno definite le situazioni di scorporo tra i candidati e i nominativi dei futuri eletti saranno integralmente noti e ufficializzati. Insomma, due settimane che gli schieramenti utilizzeranno per scrutarsi e, magari, cercare ardui punti di convergenza.

Una volta che il Parlamento si sarà insediato, si aprirà ufficialmente la XVII legislatura della Repubblica italiana, numero nefasto che fa gridare vendetta ai superstiziosi, ma che, indubbiamente, alzerà il sipario su una delle fasi più critiche nella storia della politica italiana.

Il primo atto per i due rami parlamentari sarà l’elezione dei due presidenti di Camera e Senato, in un certo senso le prove generali per quello che avverrà con il successore di Giorgio Napolitano. Se i partiti troveranno una – difficile – convergenza sulla seconda e terza carica dello Stato, allora potrebbero ripetersi anche sulla prima.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, il presidente di Montecitorio, necessiterà dei due terzi dei deputati nelle prime tre votazioni, eventualità che lo scenario di incertezza generale porterebbe a escludere. Allora, si passerebbe ala soglia del 50%+1 dei voti, a partire dalla quarta “chiama”, per conferire l’incarico al prossimo presidente della Camera.

Situazione simile al Senato, dove nelle quattro votazioni previste, le prime due richiederanno maggioranza assoluta – attualmente impossibile per ogni coalizione singola – mentre, dalla terza sarà sufficiente ottenere il maggior numero dei consensi espressi. Chi finirà per ricoprire la carica di presidente a palazzo Madama, con le due coalizioni principali quasi alla pari e Grillo spine nel fianco della politica tradizionale? Difficile si tratti di un esponente di centrosinistra, più facile che si tenti una sorta di pacificazione istituzionale consegnando il Senato a un eletto di esperienza e carisma delle file del centrodestra, magari votato anche dallo stesso Pd. Da qui, si apriranno le consultazioni per il prossimo governo, su cui, al momento, è impossibile avanzare previsioni.

E veniamo al vero terreno minato dei prossimi due mesi, da cui si inizierà a capire davvero se un eventuale governo di larghe intese – tra chi ancora non è dato sapere – potrà avere un futuro: l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Come noto, il mandato di Giorgio Napolitano scade il 15 maggio e Costituzione vuole che le Camere aprano le pratiche con 30 giorni di anticipo, cioé a metà aprile. Per l’elezione del nuovo Capo dello Stato, le due Camere dovranno riunirsi in seduta comune e cercare di accordarsi su un nome, che possa ottenere un mandato forte e, in parte, alleviare la crisi profonda della politica italiana.

Questo, a livello ideale. Sul piano pratico, però, difficile ipotizzare un avvicinamento tra schieramenti così vicini numericamente, nessuno dei quali autosufficiente e, al momento, disposto a scendere a patti. Va comunque, ricordato che il Presidente della Repubblica, negli ultimi sei mesi del suo mandato non detiene il potere di sciogliere le Camere. A leggere la Costituzione, dunque, sembra fuori discussione un ricorso al regime di prorogatio, come descritto all’articolo 85 della Carta, contemplata solo qualora “le Camere sono sciolte o se mancano meno di tre mesi alla fine della legislatura, l’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo entro 15 giorni dalla riunione delle nuove Camere, sicché nel frattempo i suoi poteri sono prorogati”. Dunque, nessun “asterisco”: sarà questo Parlamento, in bilico finché si vuole, a dover trovare la quadra sul nuovo Presidente della Repubblica che dovrà restare in carica fino al 2020.

Francesco Maltoni

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