Riforma Fornero, licenziamento e conciliazione: casi e rinvio

Redazione 18/01/13
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Licenziamento, la procedura di conciliazione è ormai una procedura standard. Con la divulgazione della circolare 3/2013 del Ministero del Lavoro, sono state chiarite finalmente le coordinate per la partecipazione del datore di lavoro e del lavoratore al tavolo di riavvicinamento.

Come noto, questa tappa è stata postulata come obbligatoria da parte della neonata riforma del lavoro a firma del ministro Fornero onde ridurre la quantità di controversie giudiziarie aperte in materia di licenziamenti.

A essere investite della disciplina, sono quelle occasioni di interruzione del rapporto di lavoro per volontà del datore, in realtà imprenditoriali al di sopra dei 15 dipendenti dove si verifichino i cosiddetti licenziamenti oggettivi identificabili, in fattispecie, nella chiusura di un cantiere, nella soppressione del posto, nella ristrutturazione del reparto, nell’inidoneità fisica, nell’esternalizzazione di attività, o ancora nell’impossibiltà di nuovo piazzamento dentro il medesimo gruppo, per cause di provvedimenti amministrativi a carico del lavoratore (es. ritiro patente), e infine per misure di tipo detentivo.

Ora, con l’istituzione della conciliazione come condizione necessaria, si apre una nuova fase nella risoluzione dei contratti interrotti per volontà del solo committente.

Come specificato, sussistono regole ferree per il ricorso alla conciliazione e qualora una sola delle scadenze indicate nella circolare non venga rispettata, il rischio per una delle due parti è di vedere prevalere le ragioni altrui anche se la bilancia,a parità di condizioni, pare pendere a favore del datore di lavoro.

Ricapitolando, tocca proprio a lui, in prima battuta, comunicare alla Direzione territoriale del lavoro dell’avvenuto allontanamento, esclusivamente tramite Posta elettronica certificata oppure con consegna a mano.

Nell’arco di una settimana, poi, la Direzione dovrà convocare, con le stesse opzioni di comunicazione, compresa raccomandata a/r, le parti per avviare il procedimento conciliatorio, che dovrà tenersi nell’arco di 20 giorni dalla spedizione degli inviti.

Ma cosa succede se una delle due parti coinvolte è impossibilitata a partecipare nella data scelta come improcrastinabile per il tavolo di mediazione? 

Come detto, chi non si presenta in camera di conciliazione, ha tutto da perdere, nel senso che sarà oggetto di un apposito verbale che potrà fungere da prova nel successivo contenzioso. Addirittura, nel caso sia il lavoratore ad assentarsi senza preavviso, il committente avrà piena facoltà di porre in essere il licenziamento. Riguardo la conciliazione, invece, una volta raggiunta essa è da intendersi come definitiva e non appellabile.

Qualora, però, uno dei convocati non abbia la possibilità di raggiungere la sede della mediazione nel giorno designato, allora resta il margine di chiedere un rinvio di 15 giorni, purché si tratti di malattia certificata o di importanti ragioni familiari, come l’assistenza a un congiunto disabile. Si tratta, in questi casi, di riconosciuto “legittimo impedimento”, che è autocertificabile e deve rientrare nelle categorie di tutela previste dalla legge oppure dal contratto di lavoro.

Qualora non sia raggiunto un accordo alla conclusione del tavolo, poi, il datore di lavoro potrà comunque considerare effettivo il licenziamento, apponendo la data iniziale come quella in cui al procedura è iniziata e non quella della comunicazione al lavoratore: ne consegue che il periodo intercorrente è da considerarsi come effettivamente lavorato.

Vai al testo della circolare sulla conciliazione nei licenziamenti

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