Durc: una storia che non finisce

Scarica PDF Stampa
Un requisito fondamentale della partecipazione a gare d’appalto è la regolarità contributiva, cioè la situazione del datore di lavoro che adempie a tutti i suoi obblighi a favore dei lavoratori verso gli enti previdenziali.
Per la notoria condizione di difficoltà delle imprese, oppure per la complessità della normativa, non sempre le partecipanti si trovano con le carte formalmente in regola.
Da qui il vasto contenzioso che origina dalla gare.
Per dare certezza e uniformità di trattamento nella gare, il legislatore ha previsto che la regolarità fosse attestata in modo vincolante con un certificato, denominato documento unico di regolarità contributiva (Durc).
Ma l’applicazione della normativa sul Durc ha prodotto a sua volta parecchio contenzioso.
Una recente pronunzia del Tar Palermo (n. 2437/2013) è interessante, perché ci fa capire dove si annidano i problemi.
Un raggruppamento di cooperative si aggiudica un servizio; l’aggiudicazione però viene revocata perché una delle partecipanti produce un Durc dove si attesta l’irregolarità contributiva per un debito di circa 462 euro. L’importo della gara superava i 18 milioni di euro.
La revoca era inevitabile, appunto perché il Durc è vincolante per la stazione appaltante.
Infatti l’art. 38, lettera i), del codice degli appalti esclude dalla partecipazione le imprese che hanno commesso violazioni “gravi”; e la violazione è “grave”, per presunzione insuperabile, se è tale da generare un Durc negativo.
A propria volta, secondo il decreto del Ministro del lavoro la violazione è “grave” da generare un Durc negativo, se la differenza tra quanto dovuto e quanto pagato a titolo di contributi è superiore al 5% e di almeno 100 euro.
Nel nostro caso, un motivo di ricorso era che un debito di 462 euro non costituiva una “grave irregolarità”, rispetto alle somme in gioco nella gara.
Il Tar ha rigettato il motivo, appunto perché la valutazione di gravità discendeva direttamente dal Durc, secondo gli importi stabiliti.
Questo sistema rigido di verifica dell’irregolarità è stato messo in dubbio dal Tar Milano, che con ordinanza n. 1969/2010 ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea la questione se la normativa italiana sul punto, in quanto rigida, si ponga si ponga in contrasto con il diritto di stabilimento e coi principi di non discriminazione e di tutela della concorrenza.
Il Tar Lombardia riconosce che un meccanismo rigido è utile perché evita che ogni stazione appaltante valuti a modo proprio la regolarità, quindi garantisce certezza; ma ritiene che la preclusione di ogni valutazione rispetto all’effettiva importanza della violazione nel caso concreto, dia luogo a risultati irragionevoli e soprattutto sproporzionati.
Ha notato pure che, nell’analogo caso della regolarità fiscale, la normativa italiana ritiene gravi le violazioni fiscali di importo superiore a 10 mila euro.
C’è da domandarsi perché si sia ritenuto di sollevare una questione pregiudiziale sulla normativa italiana, quando il Giudice amministrativo avrebbe potuto disapplicare direttamente le norme del decreto ministeriale che prevedono il meccanismo rigido.
Per giurisprudenza ormai costante, infatti, il Giudice amministrativo può disapplicare le norme di regolamento, che si pongono in contrasto diretto con norme di rango superiore.
Il decreto ministeriale del 2007 è da ritenere un regolamento perché pone disposizioni dirette a regolare in modo generale una serie indefinita di situazioni, quindi il contrasto con le norme del Trattato UE poteva essere superato mediante la disapplicazione.
Tornando al caso esaminato dal Tar Palermo, la ricorrente aveva sollevato pure la questione della sproporzione tra l’irregolarità e l’importo della gara, alla luce delle norme europee.
Il Tar Palermo ha ritenuto di non doverla affrontare, perché nel caso concreto il Durc era inefficace.
Esso era stato impugnato dall’interessata dinanzi al Tribunale quindi, per espressa disposizione dell’art. 8 del citato decreto ministeriale, l’accertamento dell’irregolarità non andava considerato definitivo.
Se non era definitivo, non scattava il divieto di partecipazione alla gara previsto dall’art. 38 del codice degli appalti.
Va notato che anche la pendenza di un giudizio sulla questione previdenziale non è sempre una garanzia per il rilascio del Durc positivo: infatti se il debito è iscritto a ruolo il Durc non può essere rilasciato.
In conclusione, come in molti luoghi del diritto amministrativo italiano, si pone il contrasto tra l’esigenza di aderire al caso concreto, con il rischio però di abusi, e quella di assicurare l’imparzialità, con il contrapposto rischio di risultati irragionevolmente rigidi.
Le norme oscillano tra l’una e l’altra esigenza, secondo gli impulsi politici del momento

Dario Sammartino

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento