Indice fiducia imprese ai minimi. Mezzogiorno: persi 24 miliardi di Pil

Redazione 31/12/12
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L’Istituto Nazionale di Statistica ha rilevato un nuovo calo relativo all’indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane, che a dicembre 2012 è sceso a 75,4 punti dai 76,5 del mese scorso. Si tratta della registrazione più bassa dall’inizio delle serie storiche, avviate nel gennaio del 2006.

La riduzione dell’indice di fiducia complessivo nell’imprenditoria del Bel Paese deriva dal calo registrato presso le imprese dei servizi di mercato (da 73,4 a 71,9), delle costruzioni (da 79,6 a 79,5) e del commercio al dettaglio (da 80,6 a 77,8). Il piccolo miglioramento registrato nella fiducia verso le imprese industriali (da 88,5 a 88,9) è non stato sufficiente, da solo, ad invertire la tendenza negativa. In particolare, per quanto riguarda le imprese manifatturiere le attese di produzione e i giudizi sulle scorte di magazzino peggiorano, ma migliorano i giudizi sugli ordini.

Nell’edilizia, duramente colpita dalla crisi economica assieme a tutto l’ampio indotto, vanno peggiorando sia i giudizi sugli ordini che i piani di costruzione che le attese sull’occupazione nel settore. Nei servizi si deteriorano le aspettative sull’andamento del ciclo economico generale e i giudizi sugli ordini, mentre migliorano le previsioni sugli ordinativi. Per quanto riguarda il commercio al dettaglio, “l’indice del clima di fiducia diminuisce sia nella grande distribuzione (da 76,7 a 70,9) sia nella distribuzione tradizionale (da 87,0 a 85,3)”.

Brutte notizie arrivano anche dallo studio “Check-up Mezzogiorno”, pubblicato da Confindustria e dal Centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno. Sulla base dei dati diffusi nel rapporto relativo allo stato di salute dell’economia meridionale, nei quattro anni intercorrenti tra il 2007 (l’ultimo prima dell’inizio della crisi) ed il 2011 il Prodotto Interno Lordo delle Regioni del Sud Italia è diminuito del 6,8%, per un valore di circa 24 miliardi di euro. Il quadro è desolante: nonostante l’aumento delle società di capitali (7.400 in più nel 2011), sono oltre 16.000 le imprese che hanno cessato la propria attività (lo 0,9% del totale). In totale, il bilancio sull’occupazione è pesante: 330.000 occupati in meno, quasi la metà dei quali nella sola Campania. Nel 2012 la situazione è andata peggiorando con un tasso medio di disoccupazione che, nei primi sei mesi dell’anno, è salito dal 13,6% registrato nello stesso periodo del 2011 al 17,4% (ben sopra la media nazionale), anche in seguito all’aumento delle persone in cerca di lavoro. Unica buona notizia, le esportazioni. Si legge infatti nel rapporto che “il principale segnale positivo viene dall’export, l’unica variabile che è tornata al di sopra dei valori pre-crisi: dal primo semestre 2011 al secondo semestre 2012 le esportazioni nel Mezzogiorno sono aumentate del 7%, il doppio del Centro-Nord”.

La crisi è aggravata dal forte calo degli investimenti pubblici e privati. La spesa in conto capitale si è ridotta, sempre dal 2007 al 2011, di circa 7 miliardi di euro. Gli investimenti fissi lordi sono scesi nello stesso quadriennio di 8 miliardi di euro (-11,5%) ed anche qui è significativa la caduta degli investimenti nell’edilizia (-42,5%) e nell’industria (-27,8%). Si è assottigliata la percentuale di imprese manifatturiere che sono riuscite a trovare fondi per investire (dal 37,4% nel 2008 al 23,6% nel 2011).

Il quadro drammatico dell’economia meridionale ha riaperto l’antica ferita dell’emigrazione (una vera “emorragia di capitale umano”, si legge nello studio). I flussi si dirigono principalmente verso il Centro-Nord della Penisola e all’estero (110.000 nel solo 2010).

Al dramma dell’emigrazione si somma, come ulteriore aggravamento delle prospettive future di quelle terre, il fatto che sia lasciato inutilizzato gran parte del capitale umano che sceglie di restare: i giovani tra i 15 ed i 24 anni che non studiano o non lavorano sono il 33% del totale, a fronte di un pur preoccupante 25% della media italiana. Dati preoccupanti per le prospettive di crescita future che – è la conclusione di Confindustria e del Centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno – “indicano che è necessario non disperdere risorse e concentrare gli interventi per il Sud su tre direttrici: in primo luogo l’impresa, per favorire la ripresa degli investimenti, il superamento del limite dimensionale, l’export, e l’innovazione; in secondo luogo il lavoro, con l’adozione di misure urgenti per frenare l’emorragia di capitale umano; e, in terzo luogo, le condizioni di vita dei cittadini del Mezzogiorno.

La ripresa passa necessariamente dalla costruzione delle condizioni affinché nel Mezzogiorno si possa restare e vivere bene. In quest’ottica il pieno utilizzo delle risorse europee è decisivo. Con il Piano d’Azione e di Coesione è stata posta una base importante per migliorare l’efficacia degli interventi, ed è fondamentale che tali risorse entrino al più presto nel circuito economico per sostenere investimenti e occupazione. La ripresa dell’intero Paese è legata a doppio filo alla capacità di reazione del Sud”.

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