Mediazione, dal Senato no all’obbligatorietà. Governo: occasione persa

Redazione 15/11/12
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La mediazione obbligatoria sembra destinata a una fine anonima, seppure sul lungo periodo. Il Senato, ieri, ha detto no a un emendamento al decreto sviluppo-bis, già presentato in origine alla Camera, che mirava a salvare l’obbligatorietà dell’istituto, ancora fortissimo tema di divisione nel mondo forense.

Altra tegola, dunque, per i sostenitori della conciliazione, che dopo la bocciatura per opera della Corte costituzionale, vedono piovere sul capo della mediazione un altro duro colpo.

Nello specifico, l’emendamento presentato dai senatori De Lillo e Ghigo (entrambi Pdl) era finalizzato a riproporre la mediazione obbligatoria come mera condizione di procedibilità.

Palazzo Madama, però, ha decretato inammissibile la correzione proposta al decreto 179 del 18 ottobre 2012, denominato “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese“.

Un tempismo, quello usato dai promotori con il supporto del governo, che lascia intendere come si sia cercato di “correre ai ripari” dopo la sentenza sfavorevole da parte della Consulta. L’inserimento di una tematica come la mediazione, a dir poco marginale nello spirito “2.0” del decreto sviluppo si spiega principalmente in questo senso.

Nonostante i tentativi convinti, però, la mediazione ha finito subire un altro ko. Con lo stop impresso al Senato viene meno l’ipotesi di scivolamento della conciliazione obbligatoria al 31 dicembre 2017.

La frenata ha dunque smorzato gli intenti di salvare la mediazione, poggiando sul fatto che la Consulta aveva dichiarato incostituzionale l’eccesso di delega esercitato dal governo e non già l’istituto ex se.

Le materie soggette alle istanze di mediaconciliazione sono quelle inerenti al processo civile e si caratterizzano per controversie condominiali, immobiliari, passaggi ereditari, diffamazione a mezzo stampa, contratti bancari e altre tipologie ancora.

Secondo i sostenitori della mediazione, con l’emendamento cassato si sarebbero potuti risparmiare fino a 600 milioni investiti dagli organi che svolgono attività di conciliazione.

In questo modo, a loro dire, si sarebbero salvate anche tutte quelle nuove forme di professionalità che hanno seguito l’iter della mediazione, e i posti di lavoro generati nell’ultimo biennio.

Anche il governo non nega la sua delusione per l’accaduto, come già espresso dallo stesso ministro Severino dopo la sentenza della Corte costituzionale: “E’ un’opportunità persa – ha spiegato il sottosegretario alla Giustizia Mazzamuto – e non siamo in condizione di fare alcuna previsione sulla possibilità di un ulteriore intervento normativo a favore della mediazione obbligatoria”.

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