Cina, con il Congresso del Pcc inizia una nuova era. Le cariche rinnovate

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Dopo l’America, ora tocca alla Cina. Sono giornate cruciali per il destino dell’economia e della politica mondiale: a poche ore dal reinsediamento del presidente Obama alla Casa Bianca, si apre anche il diciottesimo Congresso del Partito Comunista Cinese.

Sgombrando il campo da equivoci, qui l’esito è molto meno incerto dell presidenziali americane. I notabili del più popoloso e influente Stato al mondo hanno infatti già deciso quale sarà il verdetto: Xi Jinping prenderà il posto del segretario Hu Jintao, che ha guidato la Cina negli ultimi anni.

Nonostante democrazia, collegialità e trasparenza non siano proprio di casa a Pechino, questa volta il consesso del partito Comunista potrebbe aprire a qualche accenno di riforma interna, a cominciare dal versante più prettamente culturale.

Nelle ultime settimane, infatti, si era rincorsa la voce che il nucleo filosofico introdotto da Mao potesse addirittura essere espunto dalla Costituzione del partito. Una novità che avrebbe segnato, se non una rottura completa, una distinzione fortissima dalla tradizione del Pcc a seguito della rivoluzione, ma che, al momento, pare comunque esclusa.

Sicuramente, però, qualche limatura alla Carta fondamentale del Partito Comunista verrà apportata, anche se, forse, tanto il vertice quanto la base non sono ancora pronti a ridurre l’assoluta centralità del pensiero guida, diffuso dal fondatore stesso della Repubblica Popolare.

Le cariche definite dal Congresso resteranno in vigore per un decennio: basterebbe questo a spiegare come l’attenzione di tutti i media mondiali si sia catapultata, nell’arco di poche ore, dalle urne dell’Ohio alla parata dei 2268 delegati cinesi, provenienti da tutte le 31 Province del Paese e suddivisi in 38 delegazioni totali.

A essere rappresentati, sono tutti i livelli della potenza cinese: da quello prettamente politico, con il Comitato centrale e gli organi di governo, a quello economico, per mezzo delle imprese statatalizzate e l’élite del mondo finanziario, a quello militare.

Ogni Congresso del Partito Comunista segna, in Cina, uno spartiacque della storia: è per questo che, nello Stato asiatico, si parla di “generazioni” di leader, un ricambio alle cariche dirigenziali che influenzerà le decisioni politiche ed economiche a tutte le latitudini.

Tutto ciò, in una fase della storia segnata dalla lenta ripresa dalla recessione, nella cui si avvicenderanno almeno due presidenti degli Stati Uniti e altrettanti Capi di Stato francesi, russi o Cancellieri tedeschi.

Lo svolgimento e l’esito – per quanto scontato – del Congresso, dunque, segnerà, per la diplomazia e le istituzioni finanziarie di tutto il mondo, l’arrivo di nuovi interlocutori, i cui interessi nazionali sono ormai estesi a ogni regione del globo, alla guida di un’economia capitalista ormai seconda solo agli Stati Uniti, ma senza la zavorra di un debito monstre.

Dunque, ad assurgere alla carica di leader del partito, non sarà esclusivamente Xi Jinping, che di conseguenza guiderà il Paese, ma tutti i vertici del più vasto soggetto politico che la storia abbia mai conosciuto, a fronte dei suoi 82 milioni di iscritti.

Innanzitutto, verrà rinnovata anche la carica di primo ministro, attualmente detenuta da Wen Jiabao, che è già destinata a Li Keqiang, vicepremier in odor di promozione.

Xi e Li saranno espressione di un Comitato permanente, quello del Partito, che verrà rinnovato radicalmente dal Congresso iniziato oggi e in calendario fino a mercoledì 14.

Quello che più interessa agli analisti internazionali, è se e come gli organi del potere in Cina introdurranno, anche a livello del partito, forme di apertura a una discussione interna più democratica e meno sottomessa ai diktat del Comitato centrale.

Misure, per la verità, attese più all’estero che in Patria, soprattutto dopo le criticate espulsioni dei dissidenti Bo Xilai e Liu Zhiijun, ex membri del Politburo.

Saranno proprio i 198 membri del Comitato centrale a nominare, successivamente, gli oltre 20 rappresentanti nel Politburo, dal quale saranno poi riempiti gli scranni del Comitato permanente, vertice della complessa piramide politica costituita dagli apparati cinesi.

Quest’ultimo è, di fatto, il principale organo politico del Paese e si compone di nove membri, dei quali almeno sette verranno rinnovati proprio nel Congresso attuale. Sicuro l’abbandono di Hu e Wen, che comunque resteranno figure di primo piano nel quadro del Pcc.

A questo proposito, sarà necessario, prima del definitivo passaggio di testimone, un periodo di convivenza tra vecchia e nuova dirigenza, che potrebbe durare anche qualche mese.

Intanto, stanno avendo luogo le prime tensioni in Tibet, una delle più scomode questioni interne alla Cina e la più nota alla comunità internazionale: cinque persone, tra cui tre giovani monaci e una donna, si sono dati fuoco per protestare contro l’esilio del Dalai Lama. Il numero più alto di sacrifici, in un solo giorno, dal 2009: la Cina sarà anche la macchina politica e di controllo sociale più organizzata del mondo, ma reprimere la rabbia dettata da condizioni estreme, a volte è davvero impossibile.

 

Francesco Maltoni

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