Elezioni Usa 2012: la vigilia del voto e il fantasma delle elezioni passate (ossia quello di Nader)

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In questa ultima giornata di campagna elettorale Obama e Romney stanno facendo la spola tra i “battleground states” per una lunga serie di eventi dell’ultim’ora: il Presidente, con al seguito Bruce Springsteen e Jay-Z, sta visitando il Wisconsin, l’Ohio e l’Iowa, mentre il candidato repubblicano parte dalla Florida per toccare anche lui l’Ohio, poi la Virginia e il New Hampshire. Anche se sono in pochi a sottolinearlo, Obama e Romney non sono gli unici a cercare di assestare gli ultimi colpi decisivi durante questa vigilia dell’Election Day.

Questa sera infatti, nello studio di RT America (ossia l’ufficio USA di Russia Today) a Washington DC, avrà luogo l’ultimo dibattito presidenziale del 2012. A scontrarsi saranno i due più quotati esponenti dei cosidetti “third parties”, ossia il candidato Gary Johnson, del Libertarian Party, e Jill Stein, del Green Party. Il dibattito è il secondo organizzato dalla Free and Equal Elections Foundation in aperta contestazione verso le decisioni della Commission on Presidential Debates che non ha garantito ai candidati dei “third parties” la possibilità di un confronto pubblico con gli esponenti dei partiti Democratico e Repubblicano.

Il primo dibattito di questo genere, tenutosi a Chicago il 23 ottobre e trasmesso solo da C-SPAN, Russia Today e Al Jazeera, ha visto partecipare tutti i candidati dei partiti “terzi”: oltre ai due contendenti di stasera, selezionati per il secondo round in base al voto popolare espresso sul sito della Free and Equal Election Foundation, sono intervenuti anche Rocky Anderson del Justice Party e Virgil Goode del Constitution Party.

Esclusa tra gli esclusi, la giovane Peta Lindsay del Party for Socialism and Liberation non ha avuto accesso neanche a questi dibattiti degli outsiders. A soli 28 anni, Lindsay non è considerata ufficialmente una candidata alla presidenza degli Stati Uniti, per la quale il limite d’età minimo è di 35 anni. Ciononostante il suo nome è al ballottaggio in 13 stati, incluso quello di New York, e il suo gradimento (più o meno simbolico) tra gli studenti universitari americani è considerevole.

C’è un tratto comune tra tutti questi candidati dalle idee politiche estremamente diversificate: nessuno di loro ha alcuna speranza di vittoria. I commentatori statunitensi li chiamano “long shots”, tiri lunghi, troppo lunghi per centrare il bersaglio. La storia americana però insegna che, nonostante non possano vincere l’elezione, questi candidati minori possono comunque deciderne l’esito.

È successo con Al Gore, la cui sconfitta nel 2000 contro George W. Bush è stata imputata principalmente al candidato del Green Party Ralph Nader che riuscì a sottrarre ai democratici voti decisivi in stati oscillanti come la Florida e il New Hampshire. Totalizzando 22.000 voti, Nader consentì a Bush di vincere i quattro voti del New Hampshire con un margine di soli 7.000 consensi.

Anche quest’anno il New Hampshire potrebbe essere teatro di una battaglia sul filo del rasoio, con il rischio che il libertario Johnson, al ballottaggio in ben 48 stati, possa rappresentare un fattore di instabilità per i partiti maggiori. Johnson, ex repubblicano, è stato governatore del New Mexico per due mandati e ha abbandonato l’idea di concorrere nelle primarie del GOP nel dicembre 2011 annunciando la sua candidatura tra le file dei libertari. Se i repubblicani sostenitori di Ron Paul alle primarie, circa 56.000 e non tutti felici di votare per Romney, decidessero di sostenere Johnson, Obama ne beneficerebbe.

Pure la Virginia è contesa e i suoi 13 voti sono molto importanti. Il fatto che Virgil Goode del Constitutional Party sia un ex congressman dello stato non depone a favore dei repubblicani, con i quali Goode condivide l’approccio conservatore. Goode ha rappresentato la Virginia al Congresso per ben 12 anni, e oggi compete in circa 24 stati.

Rocky Anderson invece compete in soli 15 stati e non rappresenta un vero pericolo per i due partiti maggiori. Le sue energie si sono soprattutto concentrate in uno sforzo di sensibilizzazione dell’elettorato americano contro il duopolio che il sistema elettorale a stelle e strisce rende possibile e inalterabile, di fatto intaccando la democraticità del processo di selezione della classe dirigente negli Stati Uniti.

Jill Stein del Green Party, al ballottaggio in 38 stati, lo sa bene: recatasi a Hempstead il 16 ottobre per esigere di poter partecipare al dibattito presidenziale alla Hofstra University, Stein ha addirittura subito un arresto. Progressista e promotrice dell’idea di un nuovo “New Deal” verde per salvare l’economia americana, negli ultimi sondaggi Stein risulterebbe avere un gradimento ancora più alto di quello di Nader nel 2000, quando il candidato verde riuscì ad attrarre il 2.7% dei voti. Molto male per i Dem.

Se i numeri di Stein sono degni di considerazione, è ancora Johnson il candidato che suscita le preoccupazioni più serie, sia per l’esito del duello Obama-Romney sia per le prossime presidenziali del 2016: l’obiettivo di Johnson è infatti quello di arrivare al 5% dei voti totali, percentuale che gli darebbe diritto a ricevere  fondi federali per circa 90 milioni di dollari per finanziare la sua prossima corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Stando alle più recenti previsioni, il traguardo di Johnson sembrerebbe una missione possibile.

Chissà che tra quattro anni la Commission on Presidential Debates non sia obbligata ad aggiungere un terzo podio sul palco dei prossimi dibattiti ufficiali…

 

Francesca Giuliani

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