Occupy Wall Street, da Twitter al Tribunale

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Occupy Wall Street ha celebrato ieri il suo primo compleanno e ha fatto ciò con una giornata di manifestazioni che hanno interessato l’area di Lower Manhattan attorno a Wall Street e Zuccotti Park, questa volta blindato dalla NYPD e inaccessibile ai militanti in corteo – non tanti, circa un migliaio.

Il bilancio della prima giornata di proteste (che si protrarranno seguendo un calendario di attività molto ricco, comprendente anche l’apertura della cosiddetta Free University fino al 22 a Madison Square Park) si chiude con 124 arresti di manifestanti colpevoli di condotta verbalmente aggressiva contro gli impiegati della Borsa di New York che si recavano in ufficio, o di blocco del traffico veicolare nelle aree interessate dai cortei.

Il record di arresti per intralcio al traffico lo detiene ancora la cosiddetta “Battle of the Brooklyn Bridge”, la manifestazione che ebbe luogo l’1 ottobre 2011 in cui oltre 700 membri del movimento di OWS furono catturati durante la loro marcia di protesta sul ponte più famoso di New York City.

Proprio quel giorno fu arrestato anche Malcolm Harris, 23 anni, uno dei tanti dissidenti in marcia sul ponte poi diventato famoso per le sue traversie legali successive alla manifestazione.

Nel gennaio scorso infatti, per poter costruire il caso contro Harris, il procuratore distrettuale di Manhattan ha richiesto al social network Twitter di consegnargli i tweet e messaggi privati da lui firmati con il nickname @destructuremal, comprensivi di location, nel periodo 15 settembre-30 dicembre 2011, inclusi quelli da lui cancellati. In questi tweet la difesa ritiene di poter trovare prove a supporto del fatto che le violazioni delle leggi dello stato di New York commesse da Harris fossero intenzionali, mentre Harris sostiene che la NYPD avesse diretto i manifestanti sul ponte con l’inganno, assicurandoli di essere autorizzati a percorrerlo per poi arrestarli.

La richiesta di rilascio delle informazioni presenti sul profilo di Harris era stata notificata da Twitter all’utente che, supportato dal social network, ha presentato un ricorso contro l’istanza del District Attorney di Manhattan. A giugno, il ricorso di Harris e Twitter ha ricevuto dal giudice Matthew Sciarrino Jr. una risposta alquanto controversa: il giudice infatti ha completamente bypassato Harris nel suo pronunciamento con l’argomento che la proprietà del contenuto “twittato” è, appunto, di Twitter e non dell’utente. Sciarrino, decretando nella sentenza con tanto di hashtags che “il #ricorso viene #respinto” dalla corte perché Harris non ha la facoltà di ricorrere, ha ordinato inoltre che Twitter fornisse le informazioni richieste entro il 14 settembre scorso, pena una severa multa per oltraggio alla Criminal Court di New York.

La vicenda ha spinto Twitter a ricorrere lui stesso contro la richiesta del district attorney arguendo, peraltro, che nei Termini del Servizio che ogni utente sottoscrive al momento dell’iscrizione è scritto a chiare lettere che la proprietà dei tweets è degli utenti, non del social network. L’udienza di appello avrà luogo a novembre.

Bloomberg riporta che agli atti risulta una richiesta di sospensione dei termini imposti dalla sentenza di Sciarrino per la consegna delle informazioni mentre il ricorso è in atto: la richiesta è stata respinta il 7 settembre scorso, costringendo il social network a cedere al district attorney le informazioni richieste.

Le suddette informazioni sono state fornite da parte di Twitter in busta chiusa e sigillata da aprirsi solamente dopo il 21 settembre, data in cui un altro ricorso intentato da Harris contro il pronunciamento di Sciarrino del giugno 2012 sarà discusso di fronte alla Corte Suprema dello Stato di New York.

La controversia che si è protratta per oltre nove mesi ha riguadagnato la ribalta mediatica in questi giorni decisivi per l’esecuzione della sentenza, per puro caso coincidenti con i giorni del ritorno di Occupy a Lower Manhattan, scatenando reazioni di sconcerto nella comunità degli attivisti per la libertà di espressione in rete.

Il blogger Antonin I. Pribetic nota in un suo post come questa vicenda non solo sfati i miti della privacy e della protezione dei dati personali online, ma soprattutto evidenzi il fatto che “il governo americano e le agenzie di applicazione della legge oggi abbiano a disposizione Twitter, che risparmia loro gran parte del lavoro”. “La morale della favola? La tua privacy finisce dove iniziano i tuoi tweet”, Pribetic aggiunge.

La American Civil Liberties Union, che insieme alla Electronic Frontier Foundation ha scritto una memoria amichevole a supporto del ricorso di Twitter, ha espresso attraverso l’avvocato Aden Fine il parere che sia importante “lodare Twitter per essersi impegnato a difendere un suo utente”, ma che il caso dimostra che “solo gli individui, non le compagnie, hanno sufficienti incentivi per far valere i loro diritti costituzionali”: insomma, bisogna garantire ai singoli la piena proprietà del contenuto da essi prodotto.

Qualche blogger ironizza anche sul fatto che a sentenziare su questo caso sia proprio quel Matthew Sciarrino Jr. che nel 2009 fece notizia sui giornali per la sua “dipendenza da Facebook”.

Il giudice, che era uso aggiornare il suo status dall’aula e postare foto delle udienze in corso, aveva ricevuto un procedimento disciplinare per aver richiesto l’amicizia virtuale di molti avvocati con i quali si era trovato faccia a faccia in tribunale, ponendo i legali in imbarazzo e sollevando questioni sull’eticità delle suddette richieste, seppure solo virtuali.

Chissà che i dissidenti di OWS non siano ispirati da questi precedenti a cambiare piazza virtuale, da Twitter a Facebook, per evitare guai legali e guadagnare amicizie forensi…

Francesca Giuliani

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