Abolizione delle Province: quando prevale la demagogia…

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Neanche la pausa ferragostana riesce a sopire l’impeto “riformatore” di alcuni illustri commentatori.

Accade così che Sergio Rizzo, sul Corriere della Sera di lunedì 13 agosto,  ritorni sul tema dell’abolizione delle Province offrendo al lettore una chiave di lettura da cui emerge una “casta” di amministratori locali che lotta strenuamente per conservare la propria posizione, una accesa “trattativa” per il passaggio di Comuni da una provincia all’altra ed un quadro normativo-istituzionale a dir poco discutibile.

Impossibile competere con uno dei più apprezzati “fustigatori della casta”, senza essere tacciati di becera volontà di difesa dello status quo.

Allora ci sia solo consentito sottolineare alcuni aspetti:

I CONSIGLI DELLE AUTONOMIE LOCALI

I Consigli delle Autonomie Locali, cui l’art. 17 del D. L. 95/2012 (spending review) ha demandato il compito di proporre l’ipotesi di riordino delle Province, nel rispetto dei parametri fissati dal Governo con la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 (350.000 abitanti e 2.500 kmq), sono organismi previsti dalla Costituzione, non un’invenzione di qualcuno per difendere posizioni, all’art. 123: “In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali”

Avere affidato ai CAL il compito di proporre l’ipotesi di riordino non è una “operazione che per giunta non sarà affidata allo Stato, ma alle stesse Province, attraverso i Consigli delle autonomie locali”, ma un tentativo, anche mal riuscito, di rispettare i dettati costituzionali, come vedremo meglio più avanti.

Inoltre l’art. 17 prevede che l’ipotesi di riordino formulata dai CAL (entro il 3 ottobre 2012) va trasmessa alla Regione, che a sua volta ha tempo fino al 25 ottobre 2012 per trasmettere la proposta di riordino al Governo elaborata sulla base della proposta della Conferenza Regione – Autonomie locali o indipendentemente dalla proposta dei CAL qualora non formulata.

Sarà comunque il Governo a presentare una proposta di legge per il riordino delle Province e l’eventuale ridefinizione dei confini della città metropolitana sulla base della proposta regionale o anche prescindendo da essa se non pervenuta entro i termini.

Voler presentare al lettore una situazione che sembra costruita per affidare solo alle stesse Province, tramite i CAL, la proposta di riordino non corrisponde alle previsioni di legge.

Se è vero che in qualche Regione il CAL è presieduto da un Presidente di Provincia, è altrettanto vero che le Province sono in netta minoranza all’interno degli stessi, dove numericamente prevalgono di gran lunga i rappresentanti di Regione e Comuni, e pertanto la decisione sulla proposta di riordino non può essere assunta dalle Province stesse.

E, a onor del vero, va infine ricordato che è stata proprio l’UPI – l’Unione delle Province d’Italia – a proporre a Governo e Parlamento una proposta di legge di riordino delle Province, con una significativa riduzione del numero e con una riforma organica delle funzioni e delle strutture periferiche dello Stato.

Unico caso di proposta di autoriforma di Enti, mai ricordata dai commentatori in questione.

LA PRECISAZIONE DEL MINISTERO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Viene enfatizzata nell’articolo in commento una nota del Ministero della Pubblica Amministrazione: “Ma che pure nel governo non siano completamente rilassati – scrive Rizzo – lo testimonia la nota con cui la Funzione pubblica sente il bisogno di precisare il 3 agosto che va considerata «inutile», parole dell’agenzia Ansa, «la compravendita di comuni di confine da parte delle Province per salvarsi dalla cancellazione prevista dalla spending review». Segno che qualche furbetto della Provincina si stava già attrezzando per aggirare i famosi parametri”.

Di che si tratta?

Si fa riferimento ad una precisazione proveniente dal Ministero della Pubblica Amministrazione che ha solo alimentato ulteriormente e in modo sempre più distorto e parziale il dibattito sul riordino delle Province.

Si legge nella “precisazione” del 3 agosto 2012, apparsa nel sito del Ministero dal titolo “riordino delle Province e loro funzioni”:

“Il Dipartimento delle Riforme Istituzionali in riferimento alle disposizioni in materia di riordino delle Province e loro funzioni precisa quanto segue: con riferimento alle Province che non possiedono i requisiti minimi specificamente indicati nella deliberazione del Consiglio dei Ministri dello scorso 20 luglio – dimensione territoriale non inferiore ai 2500 chilometri quadrati e popolazione residente non inferiore a 350 mila abitanti – i CAL e le Regioni possono senz’altro dare seguito ad eventuali iniziative comunali già formalizzate alla data del 24 luglio 2012 volte a modificare le circoscrizioni provinciali.

Tuttavia resta fermo che tali iniziative non hanno l’effetto di far ottenere né perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”.

Nulla dice la nota ministeriale sulle funzioni delle Province, malgrado il titolo e malgrado sia uno degli aspetti più controversi e meno approfonditi dell’intervento del Governo sul “riordino” delle Province.

Che bisogno c’era dunque di tale precisazione?

Va rilevato che trattasi di una “precisazione” inutile, che nulla aggiunge alle disposizioni contenute nel decreto legge, semplicemente e testualmente riportate nella nota di precisazione:

1)     “I CAL e le Regioni – precisa la nota ministeriale – possono senz’altro dare seguito ad eventuali iniziative comunali già formalizzate alla data del 24 luglio 2012 volte a modificare le circoscrizioni provinciali”.

Precisazione inutile perché riporta testualmente quanto previsto dall’art. 17, comma 3, del D. L. 95/2012: “Le ipotesi e le proposte di riordino tengono conto delle eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al comma 2”.

Anzi incorre anche in un errore di data: non il 24 luglio, ma il 20 luglio (data di adozione della delibera del Consiglio dei Ministri);

2)     “Tuttavia resta fermo che tali iniziative non hanno l’effetto di far ottenere ne perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”

Anche in questo caso la nota non fa che riportare quanto previsto dallo stesso comma 3 dell’art. 17: “Resta fermo che il riordino deve essere effettuato nel rispetto dei requisiti minimi di cui al citato comma 2, determinati sulla base dei dati di dimensione territoriale e di popolazione, come esistenti alla data di adozione della deliberazione di cui al medesimo comma 2”.

E allora perché il bisogno di tale precisazione?

Se precisazione doveva essere, bisognava almeno chiarire e “precisare” completamente i contenuti della norma almeno sulle questioni problematiche prima ricordate.

Se dunque la legge prevede che si deve procedere al riordino di tutte le Province e che tutte le “nuove” Province devono rispettare i requisiti minimi di territorio e popolazione fissati dal Consiglio dei Ministri che bisogno c’è di ribadire che le iniziative dei Comuni “non hanno l’effetto di far ottenere né perdere alle suddette province i requisiti minimi di dimensione territoriale e demografica prescritti dalla suddetta deliberazione”?

E soprattutto perché non ricordare che ai Comuni facenti parte delle città metropolitane è riconosciuto il potere di deliberare con atto del Consiglio Comunale l’adesione alla città metropolitana o, in alternativa, ad una provincia limitrofa?

Purtroppo ancora una volta dobbiamo registrare il disconoscimento ormai ripetuto di ogni principio costituzionale relativo all’intero sistema delle autonomie.

L’iniziativa comunale non solo è espressione della volontà democratica, espressa dall’organo rappresentativo della collettività comunale democraticamente eletta (non una precisazione ministeriale non sottoscritta e non attribuibile ad alcuno) ma è l’unico atto costituzionalmente previsto per avviare l’iter di mutamento delle circoscrizioni provinciali dall’art. 133 della Costituzione!

Ci sia consentito ricordare (continuiamo ostinatamente a credere nei principi e nei valori della nostra Costituzione e nel sistema delle regole costituzionali che rappresentano il patto sociale tra quei soggetti politici che pur raggruppando cittadini con storie, idee, culture differenti, furono uniti nell’impegno di costruire una storia e uno Stato nuovo; che sono espressione dei valori e dei principi sui quali si fonda l’essere cittadini italiani; che sono la principale fonte del nostro ordinamento giuridico; e che sono soprattutto “diritto vivo” (diritto materiale), diritto applicato, riconosciuto come fondamentale, imprescindibile, irrinunciabile e vincolante da tutti i cittadini che fanno parte del nostro Stato e che si impegnano a rispettarle e promuoverle) alcuni principi fondamentali della nostra Costituzione:

Art. 5 – “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.

Art. 114 – “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni (e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione”.

Art. 118 – “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.

Art. 133 – “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione”.

Quanta abissale distanza vi è oggi tra il sistema costituzionale e la realtà del nostro ordinamento giuridico deformato a colpi di decreti legge dettati dall’emergenza economica e delle “richieste e aspettative” dei mercati!

Quanta colpevole superficialità – o forse consapevole disegno riformatore verso un centralismo esasperato – negli interventi sulle autonomie locali privati progressivamente di ogni autonomia e delle risorse necessarie ad erogare servizi!

Quanta colpevole demagogia nel demolire il sistema della rappresentanza democratica locale, abbagliati dalla “lotta alla casta”!

Al contrario bisognava ripartire dal basso.

Continuiamo a chiedere la tutela delle autonomie locali, perché oggi più che mai occorre che i cittadini abbiano la sensazione di una politica vicina ai bisogni ed alle aspettative, che sappia dare risposte immediate e che sia soggetta al controllo diretto e immediato del cittadino elettore.

Per questo continuiamo a ritenere del tutto insensato tagliare le rappresentanze politiche locali e mantenere inalterato quel ceto politico nazionale che appare troppo preoccupato della propria sopravvivenza politica a breve termine per rendersi conto di quanto sta realmente accadendo; che non si possa ridisegnare l’assetto istituzionale del sistema democratico con decreti legge, al di fuori di una visione di insieme che eviti il crearsi di squilibri e asimmetrie nel rapporto fra i cittadini e lo Stato né che sia possibile decidere sulla persistenza o la cancellazione di gangli vitali dell’articolazione statale sulla base di meri criteri di convenienza politica, ideologica o meramente economica (tutta da dimostrare quest’ultima) anziché in riferimento ad una verifica dell’effettiva necessità del loro mantenimento o eliminazione in rapporto alle esigenze per le quali essi sono stati creati.

I RICORSI

Dall’articolo di Sergio Rizzo sembra che le Province abbiano scatenato una battaglia legale per sopravvivere.

Si legge: “Ma i salvavita che preservano lo status quo delle Province italiane continuano a entrare in azione. Ce n’è di ogni tipo: ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato o alla Corte costituzionale, accordi sindacali…”.

Probabilmente si fa riferimento ai ricorsi presentati alla Corte Costituzionale da sei Regioni – Piemonte, Lombardia, Veneto, Molise, Lazio e Campania – per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 23 commi 14-21, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in Legge 22 dicembre 2011, n. 214, la cui trattazione è stata fissata per il 6 novembre prossimo.

O al fatto che molte Regioni hanno confermato la volontà di impugnare il decreto legge n. 95/2012 anche per gli aspetti di incostituzionalità degli articoli 17 e 18, relativamente :

–     alla scadenza anticipata degli organi elettivi;

–     alla soppressione inevitabile di alcune province, per contrasto con l’art. 133 della Costituzione, nonché con l’art. 5 della stessa Carta con riferimento alle Province già esistenti alla data di entrata in vigore della Costituzione, che la norma “riconosce” al pari degli altri enti locali.

Non entriamo nel merito se non per ricordare che alle Province e ai Comuni – malgrado siano enti costitutivi della Repubblica di apri rango di Stato e Regioni ai sensi dell’art. 114 Cost. – non è consentito presentare ricorso alla Corte Costituzionale.

LE FUNZIONI

Ancora una volta, nel facile attacco continuo e costante sulle Province, manca ogni riferimento alle funzioni.

Tutti gli illustri commentatori, non solo Rizzo, ignorano del tutto questo aspetto fondamentale.

Poco importa se dal tanto agognato taglio deriverà caos istituzionale e disservizi.

Cerchiamo, per quanto possibile, di fare chiarezza in un quadro sempre più confuso.

Il quadro normativo è di desolante superficialità e contraddittorietà.

L’art. 23, comma 14, del D. L. 201/2011 (salva Italia), convertito in legge 214/2011, prevede: “Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.

L’art. 23, comma 18, del D. L. 201/2011 (salva Italia): convertito in legge 214/2011 prevede: “Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva”.

L’art. 17, commi 6 e 7, del D. L. 95/2012 (spending review) prevede “Fermo restando quanto disposto dal comma 10 del presente articolo, e fatte salve le funzioni di indirizzo e di coordinamento di cui all’articolo 23, comma 14, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel rispetto del principio di sussidiarietà di cui all’articolo 118, comma primo, della Costituzione, e in attuazione delle disposizioni di cui al comma 18 del citato articolo 23, come convertito, con modificazioni, dalla citata legge n. 214 del 2011, sono trasferite ai comuni le funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato fino alla data di entrata in vigore del presente decreto e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione. Le funzioni amministrative di cui al comma 6 sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali”.

L’art. 17, comma 10, del D. L. 95/2012 (spending review) prevede:

“All’esito della procedura di riordino, sono funzioni delle province quali enti con funzioni di area vasta, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione:

a)      pianificazione territoriale provinciale di coordinamento nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;

b)     pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale nonché costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

c)      programmazione della rete scolastica e gestione dell’edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie di secondo grado”.

Se ne ricava un quadro normativo confuso e non coordinato.

Sono dunque assegnate alle Province funzioni fondamentali (in forza del richiamo all’art. 117, comma 2, lett. p) della Costituzione) elencate dall’art. 17, comma 10, del D. L. 95/2012 alle quali si potrebbero aggiungere le “funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale” previste dall’art. 23, comma 14, del D. L. 201/2011 (salva Italia).

Per le funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato è previsto il trasferimento ai Comuni a seguito di apposita individuazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e successiva puntuale individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi all’esercizio delle funzioni stesse ed al loro conseguente trasferimento dalla provincia ai comuni interessati.

Per  le funzioni amministrative conferite alle Province dalla Regione, deve provvedere la Regione, con propria legge, entro il 31 dicembre 2012 (art. 23, comma 18, del D. L. 201/2011).

E’ necessario evidenziare:

1)     La nozione di funzione fondamentale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p, della Costituzione,  e il rapporto con la Legge 5 maggio 2009 n. 42 “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale” e ai successivi decreti legislativi in particolare in ordine alla quantificazione e modalità  di attribuzione di risorse autonome alle province e alle città metropolitane, in relazione alle funzioni fondamentali e alla determinazione del costo e del fabbisogno standard (vedi art. 2 della Legge 42/2009) nonché, in fase transitoria, alla determinazione dell’entità e del riparto dei fondi perequativi in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale (art. 21);

2)     La non esclusività della elencazione delle funzioni: non viene esclusa la possibilità di attribuzione da parte della Regioni di funzioni delegate.

3)     La definizione delle funzioni sulle materie non appartenenti alla competenza esclusiva statale:

Esempi:

a)      pianificazione territoriale provinciale di coordinamento: trattandosi di materia rientrante nella legislazione concorrente ai sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione “governo del territorio” la Regione dovrebbe confermare pienamente l’attribuzione alle Province delle funzioni di governo del territorio già in essere;

b)      tutela e valorizzazione dell’ambiente: trattandosi di materia di legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione) che margini di intervento ha la Regione su tali competenze? Come si concilia l’attribuzione alle Province della tutela e valorizzazione dell’ambiente come funzione fondamentale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p), con le funzioni oggi svolte dalla Regione, su attribuzione dello Stato, e quelle delegate alle Province dalla Regione sulla stessa materia?

Al riguardo appare necessario al più presto che la Regione confermino l’attribuzione delle funzioni in materia di tutela dell’ambiente attribuite alle Province.

4)     La formazione professionale e le funzioni in materia di mercato del lavoro

Occorre sottolineare come le funzioni in materia di istruzione assegnate alle province,  sono quasi inscindibili con quella della formazione professionale, che le Regioni dovrebbero riassegnare alle Province, e quest’ultima con quella relativa al mercato del lavoro.

E’ necessario che la Regione insista su questi aspetti in sede di Conferenza Unificata auspicando un ripensamento da parte dello Stato anche nel dpcm di ricognizione delle funzioni.

Va ricordato al riguardo che dal 2001 sono state decentrate alle Province le funzioni attinenti i Servizi per l’Impiego; molte Province hanno quindi potuto avviare un percorso che dal 2001 ad oggi ha portato a rinnovare le strutture e le piattaforme informative e soprattutto a innovare profondamente i servizi offerti aggiungendo a quelli amministrativi (tipici dei vecchi Uffici di Collocamento) nuovi servizi di orientamento e accompagnamento al lavoro.

E’ da mettere in evidenza soprattutto che la formazione per adulti, nell’attuale periodo di crisi, è stata fortemente potenziata essendo una delle poche “Politiche Attive del Lavoro” che ha avuto una buona ricaduta in termini occupazionali.

E’ da ricordare che per le funzioni delle Province in materia di mercato del lavoro, in particolare,  è stato recentemente predisposto ed ultimato e quindi esaminato dalla CoPAFF, Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, nella seduta del 28 giugno scorso, il documento tecnico metodologico relativo ai fabbisogni standard per la funzione Sviluppo economico – centri per l’impiego – delle Province, che rappresenta il punto di riferimento, previsto dalla legge, per valutare l’efficienza dei servizi resi.

 

5)     Problematiche connesse al trasferimento delle funzioni

L’ipotizzato trasferimento di funzioni presenta problematiche complesse soprattutto in materia di trasferimento di risorse e personale per nulla chiarite.

Se ne segnalano soltanto le principali:

Risorse finanziarie

 Il testo normativo afferma che “la norma non è suscettibile di produrre oneri in quanto contestualmente al trasferimento delle funzioni, saranno trasferiti altresì i beni e le risorse finanziarie, umane , strumentali e organizzative”.

Quali e quante risorse finanziarie?

Già i tagli operati con il D.L. 95/2012 mettono a rischio, soprattutto dal 2013, l’esercizio delle funzioni “rimaste” alle Province; a ciò si aggiungono quelli a carico delle Regioni che, a loro volta, riducono in maniera drastica i trasferimenti alle Province per le funzioni trasferite/delegate.

Gli stessi trasferimenti regionali che, sulla base delle leggi sul federalismo fiscale dovranno essere fiscalizzati e sostituiti da una compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica regionale e/o ad altri tributi.

Gestione del debito per mutui e BOP

E’ evidente che se la gran parte delle funzioni che saranno trasferite ai Comuni comporta stanziamenti di spesa corrente e scarsi investimenti, significa che gli oneri per il rimborso dei mutui e dei prestiti obbligazionari contratti dalle Province rimarranno in carico alle Province (tipicamente contratti per investimenti in infrastrutture stradali, scolastiche e patrimoniali).  Ciò rende oltremodo necessario che le già ridotte disponibilità di entrate conseguente ai tagli finanziari non possano essere liberamente dirottate ai Comuni stessi dovendo garantire il rimborso del debito pubblico provinciale.

Patto di stabilità

Non va trascurato l’articolo 17, comma 13, che prevede la ridistribuzione dei saldi obiettivo del patto di stabilità fra i diversi livelli di governo interessati dal riordino (province, ma anche comuni che assorbiranno funzioni nonché la stessa regione) ad invarianza di saldi.  Il tema dei criteri con cui parametrare la redistribuzione presenta aspetti di grave complessità che vanno certamente approfonditi.

 

Personale

Effettuare una correlazione netta e separata tra singola funzione trasferita o delegata / risorse finanziarie e loro provenienza / risorse umane non è possibile.

Ciò in quanto progressivamente negli anni da parte statale e regionale si è proceduto ad una riduzione delle risorse assegnate alle Province per le singole funzioni attribuite. Ciò nonostante le Province hanno garantito finora l’esercizio di tutte le funzioni con mezzi propri derivanti dalle entrate tributarie, da altre fonti di finanziamento (es. operazioni finanziarie), alienazioni, ricorso al debito, etc.

Va tenuto conto dell’autonomia organizzativa, costituzionalmente riconosciuta, delle Province che si sono dotati di proprie strutture, spesso diverse fra loro, sulla base delle priorità di intervento che ciascuna Amministrazione ha individuato nel tempo.

Va tenuto altresì conto delle strutture organizzative di staff (Uffici personale, ragioneria, sistemi informatici, ecc.) strutturati e dimensionati a servizio dell’intera struttura difficilmente attribuibili, seppure in percentuale, ad ogni singola funzione.

Infine le decisioni di alcune amministrazioni di esternalizzare servizi e funzioni, che potrebbero essere oggetto di trasferimento ad altro Ente, richiede ulteriore approfondimento e valutazione nella ricognizione da effettuare.

Ed è proprio sul tema delle funzioni che davvero non si riesce a comprendere la scelta del Governo.

Nella stessa relazione tecnica del Governo, riferita all’art. 18 del decreto legge che prevede l’istituzione delle città metropolitane, si legge:

“La norma che istituisce dieci città metropolitane in luogo delle rispettive province persegue finalità di efficacia ed efficienza, attraverso il conferimento alle medesime Città metropolitane di funzioni ulteriori rispetto a quelle provinciali, a garanzia anche di una ottimale integrazione delle funzioni.

La norma è formulata in maniera da garantire l’invarianza della spesa.  Contribuiscono a tal fine le disposizioni atte a prevedere il trasferimento del patrimonio e delle risorse umane, finanziarie e strumentali delle Province alle città metropolitane nonché il comma 10 che prevede la gratuità delle cariche di consigliere metropolitano, sindaco metropolitano e vicesindaco”.

Soffermiamoci sulla prima parte.

Il Governo ritiene che l’istituzione delle Città Metropolitane garantisce finalità di efficacia ed efficienza perché attribuisce alle stesse, al posto delle soppresse Province:

a)      Le funzioni delle Province stesse

b)     Ulteriori funzioni  a garanzia di una ottimale integrazione delle stesse:

–        pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

–        strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;

–        mobilità e viabilità;

–        promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

 

La motivazione del Governo è ampiamente condivisibile.

Ma allora ci chiediamo:

Perché mai nell’area metropolitana di Bologna (998.000 abitanti), Reggio Calabria (566.000 abitanti), Genova (900.000 abitanti), Bari (1.200.000 abitanti) etc. dovrebbe rispondere a finalità di efficacia ed efficienza istituire un ente intermedio tra Regione e Comuni, con le funzioni della Provincia integrate con altre di area vasta, e lo stesso principio non  vale per Province come Verona, Treviso, Vicenza, Padova, solo per restare in Veneto, con una media di 900.000 abitanti ciascuna?

Va ricordato infatti che ai sensi dell’art. 18, comma 2,  del D. L. 95/2012 “Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia contestualmente soppressa”.

Ed alcune delle città metropolitane previste, come appunto Bologna, Reggio Calabria o Genova, hanno un numero di abitanti inferiore a quello di molte Province di cui si paventa la soppressione  o certamente lo svuotamento parziale di funzioni.

Perché mai per i cittadini della Provincia di Venezia è più efficiente che ad occuparsi di “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale” sia la città metropolitana e per i cittadini confinanti della provincia di Padova è più efficiente che se ne occupino i Comuni o la Regione.

E’ chiaro che la città metropolitana ha senso soltanto se gestisce un territorio omogeneo, con problematiche comuni, non semplicemente per successione universale alla corrispondente soppressa Provincia.

Piuttosto sono proprio le considerazioni del Governo nella relazione tecnica ad imporre una riflessione attenta che parta dalle competenze, da una valutazione effettiva di efficienza ed efficacia della loro gestione, prima di fissare per decreto legge la soppressione di un certo numero di Enti nell’assoluta incertezza dei benefici sotto ogni punto di vista.

Sarà agevole verificare che alcune delle funzioni oggi svolte dalle Province potranno trovare più efficiente allocazione nei Comuni: si pensi ad esempio alle residue funzioni in materia di trasporto scolastico o di assistenza ai disabili.

Sarà altrettanto agevole verificare, come abbiamo sopra ricordato, che funzioni peraltro già in gran parte individuate dalla  Legge 5 maggio 2009 n. 42 quali:

–        Istruzione pubblica, ivi compresa l’edilizia scolastica per l’istruzione secondaria superiore;

–        Trasporti;

–        Gestione del territorio, viabilità e pianificazione territoriale;

–        Ambiente

–        Tutela della fauna

–        Sviluppo economico, mercato del lavoro, Centri per l’Impiego

–        Formazione professionale

–        Organizzazione dei servizi pubblici locali su base provinciale (vedi da ultimo l’art. 53 del D. L. 22 giugno 2012 n. 83)

trovano senz’altro la migliore allocazione in un ente intermedio, di dimensioni territoriali e di popolazione adeguata, quali dovrebbero essere le nuove Province.

 

CONCLUSIONI

Il dibattito sulle Province rivela due modi profondamente diversi di concepire la politica, il rapporto con i cittadini e, quindi, l’ordinamento istituzionale.

Sono in gioco due prospettive opposte sul piano della cultura politica relative alla forma dell’organizzazione democratica: l’una centralista, l’altra federalista.

Infatti, chi mette in discussione l’esistenza delle Province deve assumersi l’onere ed avere l’onestà intellettuale di affermare contestualmente anche la necessità di accorpare i Comuni di medie e piccole dimensioni.

Inesorabilmente, dall’abolizione delle Province sortirebbe parallelamente la necessità di provvedere anche alla drastica riduzione del numero dei Comuni.

Una simile visione istituzionale comporta altresì una chiarissima e irrevocabile negazione del valore delle Comunità locali, poiché le aggregazioni delle Province, secondo la proposta formulata dal Governo, dovrà avvenire in base a mere valutazioni di ingegneria burocratica.

In altre parole, la gestione dei servizi viene stabilita senza alcuna correlazione diretta con l’esistenza di Comunità locali.

La storia di queste verrebbe cancellata, così come gli affetti e le identità, in nome di un astratto ed omologante diritto di cittadinanza.

Ciò significa che sarebbe altresì negato il valore di qualsivoglia riforma federalista per l’Italia.

Tale visione è di carattere nazionalistico, centralista nella concezione di uno Stato che avrebbe le sue articolazioni nelle regioni e nei macro-comuni ridotti a strutture amministrative di carattere funzionale e non rispondenti al riconoscimento di Comunità autonome.

Ogni Comune rappresenta una Comunità di persone unita da un’esperienza tra generazioni e dalla condivisione di valori e specificità culturali, sociali ed economiche che costituiscono una risorsa unica, imperdibile e irrinunciabile.

Le vicende storiche di queste Comunità portano le stesse ad intrecciarsi fra di loro dando vita ad una Comunità più ampia, quella Provinciale.

Le storie delle Comunità Provinciali concorrono a definire le identità delle Comunità Regionali e, queste ultime, a loro volta, contribuiscono a definire, riempiendola di contenuti, l’identità della nostra Nazione fondata sul valore delle diversità.

Sarebbe un grave errore ritenere che l’oggetto del contendere sia di origine recente.

Da circa 150 anni nel nostro Paese si stanno scontrando due diverse e contrapposte concezioni sulla organizzazione istituzionale da dare all’Italia.

Una è quella centralista, che si è ormai dimostrata perdente sul piano economico, sociale e culturale.

L’altra è quella federalista.

Gli spiriti migliori del nostro Paese hanno creduto che fosse da riconoscere nella multiformità dell’Italia la sua vera forza e bellezza, che nel federalismo si trovi la via per una politica migliore capace di riscattare il Paese dai suoi problemi più annosi.

Gli stessi padri costituenti della Repubblica democratica vollero un’articolazione dello Stato fondata sul rispetto delle Autonomie locali.

Le economie di scala e l’ottimizzazione delle funzioni si possono davvero ottenere in modo più razionale e credibile non sopprimendo le Province, bensì riconoscendo il ruolo che a loro spetta in base alla Costituzione, portando finalmente a compimento il processo già in atto di trasferimento di competenze e funzioni.

Un trasferimento, che pur essendo avvenuto in modo parziale, ha comunque consentito negli ultimi anni alle Province di fornire risposte concrete ed importanti nella formazione e nel lavoro, in materia di viabilità, di edilizia scolastica, di sistema di offerta culturale e turistica, nella programmazione territoriale, sul fronte della tutela dell’ambiente.

Il potenziamento e la razionalizzazione del rapporto fra Provincia e Comuni nella gestione dei servizi e la loro integrazione potrebbero garantire tutte quelle ottimizzazioni per le quali si invocano inutili e pericolose soppressioni di istituzioni pubbliche fondate sulla rappresentanza democratica elettiva.

Semmai sono da eliminare gli enti di 2° grado (consorzi, società, agenzie, ato…) in eccesso, che sono fuori dal controllo dei cittadini ed aumentano i costi anziché ridurli. Enti, che in caso di soppressione delle Province, si moltiplicherebbero, con buona pace degli inviti al risparmio.

Assume infatti un carattere devastante l’esistenza di quella miriade di organismi, agenzie, ATO, consorzi ed enti di secondo grado, proliferati in questi anni al di fuori dei livelli di governo individuati dal titolo V della Costituzione, non allo scopo della gestione associata di servizi (cosa che sarebbe ancorché virtuosa), ma con l’intento di disgregare la governance organica del territorio e delle sue risorse moltiplicando, questi si, i posti ed i costi della politica.

Perché, nella “lotta alla casta” non si chiede di intervenire su questi Enti anziché sulle istituzioni di rappresentanza democratica come gli Enti Locali?

Forse perché non si avrebbe lo stesso immediato ritorno in termini di consenso?

La “grande riforma” sta producendo già effetti gravemente negativi per i cittadini e per la Pubblica Amministrazione.

Stanno crescendo in modo esponenziale i conflitti tra le Istituzioni; i ricorsi alla Corte Costituzionale delle Regioni si moltiplicano come mai era accaduto prima.

Si sta producendo il blocco degli investimenti programmati, i progetti in corso vengono ridimensionati entro i confini temporali annuali, nell’incertezza del nuovo assetto di funzioni e competenze, il personale,  demotivato sapendo di lavorare in un’azienda che non ha futuro, pensa giustamente unicamente al futuro, cercando di capire dove finirà e quali prospettive ci possano essere dal punto di vista professionale e umano.

Le Province operano soprattutto nel settore stradale, dell’edilizia scolastica, dell’ambiente, del mercato del lavoro e della formazione professionale.

In  questi ambiti  si  sono consolidate professionalità, esperienze, conoscenze che rischiano di essere disperse.

Forse dunque un maggiore approfondimento sarebbe utile per offrire una più completa informazione.

Dovremmo liberarci, nell’individuazione del migliore assetto istituzionale, dalla decretazione d’urgenza.

Solo così si potrà avviare una riflessione seria e approfondita e giungere a decisioni razionali e praticabili.

Sappiamo però che non saremo ascoltati.

Carlo Rapicavoli

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