Aborto, il giudice tutelare non può intervenire nella scelta discrezionale della minore

Redazione 23/07/12
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1.      La donna, ancorché minorenne, rimane l’unico soggetto responsabile della scelta di interrompere la gravidanza

2.      Il compito del giudice tutelare di “autorizzare a decidere” non può configurarsi come potestà co-decisionale

E’ quanto si evince dallordinanza n. 196/2012, pronunciata il 20 giugno scorso dai giudici della Consulta, in occasione del giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4, legge 194/1978 (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”), promosso dal Giudice tutelare del Tribunale di Spoleto.

Il caso è di una sedicenne che, intenzionata a sottoporsi all’interruzione della gravidanza, si rivolge al Consultorio locale chiedendo di poter effettuare l’aborto senza coinvolgere i genitori.

Il Giudice a quo, chiamato ad autorizzare la minore a prendere la decisione, solleva incidente di costituzionalità rispetto al succitato articolo 4, nella parte in cui esso prevede la facoltà della donna, se sussistono le condizioni previste, di procedere volontariamente all’aborto entro i primi novanta giorni dal concepimento, per contrasto con gli articoli 2, 32, primo comma, 11 e 117, primo comma, della Costituzione.

A parere del Giudice rimettente la questione sarebbe non manifestamente infondata, in virtù di una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea (C-34/10, 18 ottobre 2011, Brustle/Greenpeace e V.)  sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in cui l’embrione è definito “soggetto da tutelarsi in maniera assoluta”.

Su tale presupposto, di efficacia diretta e vincolante per tutti gli Stati membri, il giudice tutelare di Spoleto ha denunciato la lesione dei seguenti precetti costituzionali:

articolo 2: diritto alla vita (la vita va tutelata anche nello stadio della sua formazione mediante il progressivo sviluppo delle cellule germinali);

articolo 32, primo comma: diritto alla salute dell’individuo (la volontaria interruzione della gravidanza recherebbe un vulnus al diritto alla salute, riconosciuto a chiunque possieda un’individualità giuridicamente rilevante);

11 e 117, e primo comma: vincoli derivanti dall’ordinamento internazionale (tra i vincoli al cui rispetto è tenuto il legislatore nazionale vi è anche la tutela dell’embrione umano, come essere provvisto di autonoma soggettività giuridica).

Secondo la Consulta, la questione di illegittimità costituzionale è, invece, manifestamente inammissibile, in considerazione del fatto che la pronuncia della Corte di Giustizia europea, cui fa richiamo il giudice a quo, riguarda un oggetto del tutto inconferente rispetto al caso di specie.

Il dictum della Corte di Giustizia definisce, infatti, l’embrione umano “ai soli specifici, e limitati fini, della individuazione di cosa costituisce invenzione biotecnologica brevettabile”, pertanto “proprio dalla diversa natura dei valori che vengono coinvolti dal presente giudizio…discende l’impossibilità per il c.d. principio della primazia del diritto europeo di operare.

Ciò in virtù della ‘teoria dei contro limiti’”, prosegue la Consulta, “in base al quale la ‘ritrazione’ del diritto interno nei confronti del diritto comunitario non opera in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana.”

Partendo da tale premessa, i giudici della legittimità, sottolineano che in merito alla questione “autorizzazione a decidere” che investe i giudici tutelari in caso di interruzione di gravidanza da parte di minori, all’insaputa dei genitori, esistono diverse altre pronunce della Corte Costituzionale.

Le pronunce in questione affermano tutte lo stesso principio: l’autorizzazione chiesta al giudice tutelare è un provvedimento di mera “integrazione della volontà della minorenne, per i vincoli gravanti sulla capacità di agire” .

Ciò significa che il giudizio rimane “esterno alla procedura di riscontro, nel concreto, dei parametri previsti dal legislatore per potersi procedere all’interruzione gravidica”, sicché “una volta che i disposti accertamenti siano identificati quale antefatto specifico e presupposto di carattere tecnico, al magistrato non sarebbe possibile discostarsene; intervenendo egli, come si è chiarito, nella sola generica sfera della capacità (o incapacità) del soggetto”. (Corte Costituzionale, sentenza n. 196/1987)

Sulla scorta di tali considerazioni, la Consulta ribadisce: ”il provvedimento del giudice tutelare risponde a una funzione di verifica in ordine alla esistenza delle condizioni nella quali la decisone della minore possa essere presa in piena libertà morale.”­

Pertanto, la norma dell’articolo 4 della legge 194, non viene in applicazione del giudizio a quo, in quanto il giudice rimettente non è chiamato a decidere o a co-decidere sull’an dell’interruzione della gravidanza, bensì a verificare che la minore possa scegliere liberamente.

Di seguito il testo integrale dell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 196/2012

 

A.C.

 

Redazione

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