Rischio annullamento per la riorganizzazione dei Dipartimenti Regionali in Sicilia

Massimo Greco 14/07/12
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In questi giorni la Sicilia non è interessata dai soli venti africani (da Caronte a Minosse) ma da una quotidiana attenzione mediatica senza precedenti. Programmi televisivi e carta stampata non perdono occasione per evidenziare le tante “assurdità” ancora presenti nel sistema regionale pubblico in tempi di spending review  e di crisi sociale ed economica. Eppure, tutta la classe dirigente (compresa quella politica ovviamente) non solo non è in grado di cambiare immediatamente rotta, ma sembra respingere, secondo uno schema auto conservativo della specie, più noto tra gli studi antropologici, ogni occasione per guardare negli occhi la realtà.

Di questa patologia non sembra immune la classe burocratica siciliana che, dopo avere posto in essere tutti gli adempimenti utili a far perdere in questi giorni 600 milioni di euro di fondi comunitari, rischia di inceppare l’articolazione dipartimentale dell’Amministrazione Regionale così come da ultimo riformata.

Il Decreto Presidenziale n. 370 del 28/06/2010, attraverso il quale il Governo Regionale ha inteso rimodulare l’assetto organizzativo dei Dipartimenti regionali dell’Amministrazione Regionale, giusta deliberazione della Giunta regionale n. 196 del 21/06/2010 e della successiva deliberazione della Giunta regionale n. 243 del 24/0672010, è infatti illegittimo per non avere preventivamente acquisito il parere obbligatorio del Consiglio di Giustizia Amministrativa, e tale vizio si propaga in via derivata a tutti gli atti e provvedimenti amministrativi successivi, applicativi o conseguenti impugnati dai ricorrenti,

E’ questa la sintesi del parere n. 211 del 17/04/2012 reso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa sul ricorso straordinario presentato da diversi Dirigenti del Dipartimento dei Beni Culturali, i quali avevano mal digerito la riforma del proprio Dipartimento animata dal Direttore Generale Arch. Gesualdo Campo. I ricorrenti, nel formulare le proprie argomentazioni, hanno coinvolto l’atto amministrativo di normazione secondaria presupposto a quelli con i quali si è provveduto a riformare il Dipartimento dei Beni Culturali e, per l’occasione, non si sono fatti ingannare dal nomen iuris che l’atto presentava. La denominazione “decreto presidenziale” infatti, non riusciva a nascondere la sostanziale e sottesa natura regolamentare. Da qui l’esigenza inderogabile di essere sottoposto al parere obbligatorio del Consiglio di Giustizia Amministrativa al pari di quanto avviene per i regolamenti governativi statali che richiedono il parere preventivo del Consiglio di Stato.

L’effetto domino appare in re ipsa e potrebbe non riguardare la sola organizzazione del Dipartimento dei Beni Culturali. Allarmante è la conclusione del CGA contenuta nel citato parere: “Ove – come è accaduto nel caso in esame – un atto avente natura regolamentare risulti stato emanato senza il preventivo parere di questo Consiglio, esso è irrimediabilmente illegittimo e destinato a essere annullato tutte le volte che detto vizio di legittimità venga congruamente denunciato”.

A questo punto, attesa la nota inappellabilità del ricorso straordinario (salve le ipotesi di revoca per disciplina legislativa sopravvenuta o per la sussistenza di elementi che possano dare origine a revocazione del decreto decisorio) la “patata bollente” passa al Presidente della Regione che potrebbe dissentire dal parere del CGA, previa motivata delibera della Giunta Regionale, e decidere, diversamente opinando, sul ricorso straordinario. In tale contesto va infatti evidenziato l’orientamento del medesimo CGA che, in materia di ricorsi straordinari, si è così espresso: “…resta salva la facoltà dell’Amministrazione regionale di valutare, come accennato nelle premesse della delibera di Giunta del 15 giugno 2010, eventuale adozione di una decisione motivata in difformità dal parere, ipotesi non più prevista nell’ordinamento statale dopo l’abrogazione dell’art. 14, comma 2, del DPR 1199/71, avvenuta a cura dell’art. 69 della l. 69/2009, ma tuttora esistente nelle norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana (art. 9, comma 5, d.lgs. 373/2003, cit.)”[1].

La questione della mancata, ovvero della non completa, “giurisdizionalizzazione” del ricorso straordinario in Sicilia è ancora aperta soprattutto in dottrina[2], e potrebbe anche involgere profili di costituzionalità, attesa l’esigenza immanente nell’ordinamento giuridico in materia di giustizia amministrativa di garantire che sia rispettato il diritto alla difesa di ogni cittadino di cui agli artt. 24 e 113 Cost. in condizioni di sostanziale uguaglianza su tutto il territorio nazionale e la facoltà di scelta del ricorrente del rimedio giudiziario più appropriato a tutela della propria situazione giuridica soggettiva. La Corte Costituzionale ha infatti sempre affermato che “le modalità di esercizio del fondamentale principio della tutela giurisdizionale non possono essere diverse in una Regione rispetto al restante territorio nazionale”[3] e che esiste una “esigenza di uniformità di tutela in ordine a situazioni soggettive di identica natura”[4].

In un contesto politico ed istituzionale caratterizzato dalle annunciate, e più volte confermate dal diretto interessato, dimissioni del Governatore Lombardo per il prossimo 31 luglio, è veramente difficile immaginare a soluzioni salomoniche della vicenda. Certo è che i ricorrenti, forti dell’autorevolezza di un parere del CGA, non staranno a guardare né saranno disponibili ad aspettare il nuovo assetto politico della Regione per vedersi riconoscere diritti lesi da scelte amministrative non del tutto conformi a legge.


[1] C.G.A., parere n. 6/2009 del 14/ 12/2010 e parere n. 768/2011 del 13/12/2011.

[2] Si consenta il rinvio a: Massimo Greco “La <<giurisdizionalizzazione interrotta>> del ricorso straordinario in Sicilia”, su Rassegna Amministrativa Siciliana, Rivista trimestrale di giurisprudenza e legislazione regionale, n. 2/2011; citato in “L’onerosità del ricorso straordinario: il prezzo per la giurisdizionalizzazione” a cura di Pietro Quinto, www.giustizia-amministrativa, 13/09/2011.

[3] Corte Cost. sent. n. 113/1993.

[4] Corte Cost. sent. n. 42/1991.

Massimo Greco

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