“Spending review e sanità? Si poteva fare meglio. Equità a rischio”

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Come uscirà il comparto sanitario dal ciclone spending review? Fanno bene i camici a protestare? Fin dove possono spingersi i tagli, pur di non mettere a repentaglio il diritto alla salute di ogni cittadino?
Sulla salute non si scherza: è per questo che nella revisione di spesa chiunque, dai professionisti alle Regioni, ma, prima di tutti, gli utenti, vogliono vederci chiaro.
Davide Croce è docente di economia delle aziende sanitarie presso la LIUC e l’Università di Bologna e codirige la rivista “Sanità pubblica e privata“: il suo intervento offre una panoramica esaustiva degli effetti che scaturiranno dalla spending review, una manovra cui il professore non riserva affatto un voto alto.

Dottor Croce, sulla spending review si sono alzate voci contrastanti: chi l’ha promossa, come Corte dei Conti e Bce, chi, invece, l’ha stroncata pesantemente. Nel comparto sanitario, però, sembrano tutti d’accordo nel valutare la manovra come un taglio generalizzato al Sistema sanitario nazionale. E’ anche lei di quest’avviso?
Secondo le stime del Ministero della Salute, in soli due anni mezzo, di qui al 2014, il conto cumulato della manovra estiva del 2011 Berlusconi-Tremonti e quello dell’ultimo decreto sulla spending review vale per la sanità 12,2 miliardi di riduzione di risorse, mediamente oltre il 4% annuo dell’intero Fondo sanitario. Non solo un colpo pesantissimo ai servizi, ma anche una minaccia ai Piani di Rientro di molte Regioni. Per non parlare delle Regioni virtuose. Il decreto, nonostante la previsione di una quota premiale per quelle Regioni che hanno seguito sugli acquisti di beni e servizi procedure virtuose, non riconosce una differenziazione sostanziale con le altre.
Se si considerano solo le “cifre”, si pensi che tra il 2001 e la fine del 2010, la spesa sanitaria pubblica in Italia è cresciuta, in rapporto al PIL, dal 6,3% al 7,6% – la totale da 8,1% al 9,5%, secondo l’Oms – mentre in valori assoluti è salita di ben il 50%. Si tratta ancora di una percentuale inferiore alla media europea, ma se si pensa che il debito pubblico italiano ormai supera il 120% del PIL e che continua a salire, risulta chiaro come i tagli alla spesa pubblica fossero irrinunciabili. E questo significa che la centralità assunta dalla dimensione economica in Sanità è ormai fuori discussione.
Le priorità per il futuro saranno per forza interventi sul fronte degli sprechi e attese, introdurre indicatori di salute e di outcome e incentivare le eccellenze o premi. Non solo, sul fronte finanziamenti sarà necessario affiancare fonti integrative/sostitutive e nuove logiche come ad esempio il “Pay for Performance”.
Comunque le necessità di “contenere” la spesa sanitaria è tema noto agli addetti ai lavori: si pensi che nel 2010 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo Rapporto sulla salute, aveva dedicato un intero capitolo al tema “più salute agli stessi soldi” individuando 10 elementi di spreco da combattere, con una possibilità di recupero tra il 20% ed il 40 % della spesa totale:
1) Medicinali: sottoutilizzo dei generici e costo superiore al necessario dei farmaci in generale, 2) Medicinali: utilizzo errato e farmaci contraffatti, 3) Medicinali: uso inappropriato ed inefficiente, 4) Beni e servizi sanitari: uso eccessivo di  apparecchiature, indagini diagnostiche e procedure in genere, 5) Professionisti sanitari: inadeguati e costosi mix di figure professionali, bassa motivazione del personale, 6) Servizi sanitari: ricoveri inappropriati e con lunghe durate, 7) Servizi sanitari: dimensionamento degli ospedali (basso utilizzo), 8) Servizi sanitari: errori e scarsa qualità delle cure, 9) Servizi sanitari: sprechi corruzione e frodi, 10) Programmazione sanitaria: inefficiente mix e inappropriato livello della strategia.
Sembra un programma per le nostre Regioni.

Le riduzioni al fondo sanitario dovrebbero aggirarsi sui 5 miliardi di euro. Si parla di 4mila posti letto in meno già nei prossimi mesi. Addirittura, la Cgil ha paventato cifre-monstre pari a 80mila. Quel che è certo, è che il numero dei pazienti diminuirà. Quali sono le sue stime?
Nel decreto, l’accetta sui posti letto non è meno indolore, entro novembre le Regioni dovranno preparare un atto di programmazione sui posti letto, che dovranno passare a 3,7 ogni mille abitanti.
Rispetto alla distribuzione della riduzione dei posti letto, bisogna dire che non è una riduzione dei servizio, si devono contenere quelli in ordinaria, ma non quelli in lunga degenza e riabilitazione che vanno aumentati. Ed alcune Regioni sono già vicine a questo limite, ad esempio la Lombardia. Molto più pesanti saranno invece i limiti sul personale, dove si giocherà la capacità delle Regioni di mantenere i servizi alla popolazione.

Le Regioni, intanto, stanno cercando di ammorbidire il governo sulla manovra. Vasco Errani, presidente della Conferenza regionale, ha detto che in queste condizioni “il sistema sanitario non regge”. Siamo davvero al punto di non ritorno? Sta forse venendo meno il diritto alla salute?
Il rischio esiste, ma era già strutturale in un Paese anziano come il nostro – si sa che gli anziani usano molto di più i servizi sanitari rispetto ai giovani. Tuttavia, ricordo che gli sprechi in sanità sono sotto gli occhi di tutti e, quindi, dobbiamo rimboccarci le maniche in un momento difficile per riformare il nostro servizio sanitario.
Quindi, non solo i tagli dei costi e le manovre di austerity. Se a ciò si aggiunge l’allungamento della vita media, bisogna considerare che tutti questi fattori rischiano di far saltare i conti del welfare. Il Fondo monetario internazionale, già nell’aprile di quest’anno, aveva lanciato un vero e proprio «allarme longevità» e nel Rapporto FMI sulla stabilità finanziaria globale, sottolineava che «se la vita media nel 2050 si allungherà di 3 anni in più di quanto previsto oggi, il già ampio costo dell’invecchiamento della popolazione aumenterà del 50%».

Davide Croce3La riforma rischia di penalizzare il livello di erogazione del servizio pubblico, a beneficio delle strutture private e dei pochi che hanno possibilità di accedervi?
L’equità di accesso ad un sistema sanitario è una pietra miliare del nostro sistema. L’articolo 32 della Costituzione, nel sancire la tutela della salute come ”diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività”, di fatto obbliga lo Stato a promuovere ogni iniziativa e ad adottare precisi comportamenti finalizzati alla migliore tutela possibile della salute ai propri cittadini.
Certo è che ticket, tagli e disparità territoriali minano fortemente la garanzia dell’equità – già a dura prova dalle disparità regionali – ma da sempre punto di forza del nostro Servizio Sanitario.
I tagli pesano sulle tasche dei cittadini. Il rapporto Censis mostra come la spesa sanitaria privata nel 2010 sia aumentata del 25,5% rispetto al 2000, mentre dal 2007 al 2010 la spesa privata per farmaci è cresciuta del 10,7% a fronte di un taglio del 3,5% di quella pubblica. Il futuro si prospetta ancora peggiore con una per il 2015 di 17 miliardi di gap tra le risorse necessarie per coprire i bisogni e i finanziamenti al SSN.
La vera emergenza riguarda dunque l’equità, soprattutto quella intergenerazionale, minata dal blocco degli investimenti e dall’impatto a lungo termine che le razionalizzazioni avranno sulla salute dei cittadini.
Si parla da anni di un terzo pilastro, le assicurazioni sanitarie, vedremo.

Qual è la sua visione sui cosiddetti mini-ospedali, al momento risparmiati dalla scure del governo? Sono dei presidi territoriali indispensabili o qualche struttura, forse, è di troppo?
In sanità i volumi sono necessari per garantire la qualità delle prestazioni, sia per avere i servizi accessori – pensiamo alla diagnostica per immagini, per esempio – sia perché il know how professionale dipende dai volumi prodotti. E i piccoli ospedali non possono avere queste caratteristiche, quindi sono pericolosi per i pazienti.
Faccio un esempio: se il servizio di emodinamica di un’azienda ospedaliera scende sotto le 400 procedure annue di angioplastica, cioè meno una al giorno, i suoi professionisti non avranno la manualità necessaria per garantire ai pazienti elevati standard qualitativi. I piccoli ospedali, invece, essendo più capillari sul territorio, possono andar bene per garantire al cittadino servizi di riabilitazione, per esempio.
Sarà quindi necessario dotarsi di strutture più grandi e concentrate, magari offrendo alla popolazione capacità di trasporto e di evacuazione in caso di emergenza. Non si svuotano i territori, nel 2012 si presidiano con altri strumenti. La sanità è molto cambiata negli ultimi 30 anni, anche l’organizzazione dei servizi deve seguirla. So che non è facile accettarlo ma sarà inevitabile. i piccoli ospedali vanno bene per la riabilitazione.

Infine, il tetto di spesa sui farmaci. Le Regioni, su questo punto, saranno liete che lo sfondamento dei tetti di spesa sarà a carico loro per il 50% e delle aziende farmaceutiche per l’altra metà. E’ giusto, secondo lei, che anche i colossi del farmaco facciano la loro parte in questa fase di austerity? O hanno ragione i farmacisti a scioperare il 26 luglio?
Il ministro Balduzzi ha dichiarato ieri che si aprirà già la prossima settimana un percorso di riflessione sulla farmacia e sulla nuova remunerazione delle farmacie.
Commentando la protesta di Federfama, conclusa con la proclamazione dello sciopero del 26 luglio, Balduzzi ha affermato che l’intervento del decreto sulle farmacie è stato “minimo, considerate le situazioni”.
A tutti è chiesta una parte di sacrifici. I sacrifici vengono fatti anche pagando di più il carburante degli autoveicoli, rispetto ai tedeschi. E tutti gli operatori sanitari saranno coinvolti . Ci dovremmo attrezzare per utilizzare al meglio il “bene farmaco” usando le prime tre indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, appropriatezza d’uso e generici.

In sintesi, come giudica la spending review?
Il mio giudizio non è tenero sulla manovra. Si poteva fare molto meglio tenendo conto dell’efficienza dei diversi servizi sanitari regionali e dell’assunto delle organizzazioni sanitarie: per intervenire in modo sostanziale occorre arrivare al “singolo processo”, un intervento sull’aggregazione di processi è molto pericoloso. Tuttavia, non si può solo protestare: dobbiamo organizzarci per affrontare la crisi e dare il miglior servizio possibile ai nostri cittadini tagliando gli sprechi. E questi, sappiamo tutti che esistono, combattiamoli.

Francesco Maltoni

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