Spending review: l’improvvisazione al potere

Luigi Oliveri 06/07/12
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Domande lecite. Occorreva nominare “supercommissario” Enrico Bondi per ottenere risparmi dagli appalti, rispolverando una norma di 9 anni fa che obbliga a pena di nullità a stipulare i contratti di appalto con la Consip? Era necessario inscenare la rappresentazione della spending review per ripristinare una sanzione, quella della nullità, insostenibile per i contraenti privati, tanto che 9 anni fa quella stessa norma venne abrogata dopo soli 8 mesi di vita?

Era necessario chiamare il risanatore della Parmalat per ribadire per l’ennesima volta il taglio alle dotazioni organiche delle amministrazioni pubbliche?

Era proprio così poco evidente che la pubblicazione obbligatoria degli avvisi di gara sui giornali era totalmente inutile, costosissima ed una fonte indiretta di finanziamento degli editori?

Si potrebbe continuare. Per esempio, osservando che come tutte, ma proprio tutte le manovre di Tremonti, anche questa (inutile affermare che non si tratti di una “manovra”, lo è eccome, fatta dalle stesse menti di chi ha prodotto le precedenti, Grilli per primo) la metà dello sforzo finanziario viene scaricato su regioni, province (nonostante il deprofundis loro riservato) e comuni, ben 7,2 miliardi complessivi di tagli in due anni (e poi ci si stupisce se aumentano le imposte locali o se si azzerano i servizi).

Laddove la manovra non è frutto di estemporanee idee, a dir poco bizzarre, altro non è se non la ripetizione di vecchie ricette, vecchie norme, vecchie idee. Che con la “modernizzazione” della pubblica amministrazione non hanno nulla a che vedere.

Alcuni esempi. Il decreto predica la riduzione del 50% dei costi delle comunicazioni che le amministrazioni statali rivolgono ai privati tramite carta. Contestualmente, pochi giorni fa, il Ministro della Funzione Pubblica ha, però, disposto che gli uffici non possano effettuare telefonate “urbane” o ai cellulari. Sarebbe gentile se ci spiegassero, a questo punto, come gli uffici possano contattare telematicamente i privati, considerando che questi ultimi non sono tenuti ad avere un pc o un tablet o un account di posta certificata e, soprattutto, in assenza di una disciplina chiara sul valore legale delle comunicazioni telematiche pubblico verso privato. Specchietti per le allodole.

Ancora, il decreto, facendo molto contenti Stella e Rizzo (ma lasciandoli in parte delusi, perché il 50% delle province resta) potrà mostrare a tutti gli italiani, che sono caduti nella fola secondo la quale la riduzione o soppressione delle province faccia risparmiare 12 miliardi (qualcuno la spara grossa, sostenendo che il volume di spesa sia di 17, quando la stessa Bocconi di Monti ha chiarito che è poco più di 12…), lo “scalpo” delle province. “Le abbiamo dimezzate”, potrà urlare con entusiasmo qualcuno. Ma il risparmio? Zero, ovviamente. Dei 12 miliardi nemmeno la traccia, neanche le briciole o, per rimanere all’attualità, neppure un bosone.

Sì, perché per risparmiare quei soldi le funzioni delle province dovrebbero essere cancellate. Invece, tranne trasporti, strade e parte delle funzioni sull’ambiente, semplicemente le si sposta, frammentandole non si sa con quale criterio, verso i comuni. Sì quegli stessi enti che subiranno un taglio di 2,7 miliardi. Più competenze con meno soldi! La grande “ideona”.

E’ solo improvvisazione. Meno male che qualche atto di resipiscenza è intervenuto. Come sulle “ferie coatte”, una scelta assurda, che avrebbe fatto chiudere per due settimane all’anno servizi pubblici senza nemmeno, anche in questo caso, la stima di mezzo bosone di risparmio.

Era solo un modo per dire “dalli all’untore”, cioè il dipendente pubblico. Che viene, finalmente dirà qualcuno, coinvolto in processi di licenziamento ed esubero. Il trionfo del mal comune mezzo gaudio, che prelude, tuttavia, ad un ulteriore calo di reddito, del consumo ed all’avvitamento della recessione.

E anche sulla questione della spinta verso gli esuberi dei dipendenti l’improvvisazione viene a galla in tutta la sua evidenza. Sin dalla presentazione del disegno di legge Fornero, il Ministro della Funzione Pubblica si era affrettato ad affermare che non vi sarebbero state conseguenze sul lavoro pubblico. Alcuni, compreso chi scrive, avevano fatto sommessamente notare all’inquilino di Palazzo Vidoni che l’articolo 33 del d.lgs 165/2001 è una disciplina che determina licenziamenti per ragioni finanziarie, del tutto simile alle ragioni economiche che nel privato possono portare al licenziamento ed a conseguente applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il Ministro, pur di non sentire ragioni, ha anche stipulato con i sindacati un accordo il 3 maggio scorso, finalizzato proprio ad estraniare la pubblica amministrazione dai processi di esubero e dall’applicazione dell’articolo 18, suscitando, dopo qualche giorno, le furie del Ministro Fornero. Risultato? La manovra spinge a determinare l’esubero non si sa bene di quanti dipendenti pubblici, circa 7500 dati per certi nelle amministrazioni, forse 20.000 per le società a totale partecipazione degli enti locali, destinate a chiudere, non si sa quanti dei 56.000 delle province rimaste praticamente senza competenze, e ancor meno nota è la cifra dei dipendenti di regioni e comuni, che dovranno fare i conti, per fissare le proprie dotazioni organiche, con parametri standard medi (che da 5 anni il d.l. 112/2008 impone, senza che sia mai stato mosso un dito).

Altra “ideona”, sempre e soltanto dettata dal latrato qualunquistico di chi sostiene che le “auto blu” siano troppe, è quella apparentemente riservata a diminuire del 50% i costi per la gestione e l’acquisto dell’odiato simbolo del “potere”. Ma, guardando meglio la norma si scopre che, nella logica dei tagli lineari e per nulla selettivi, non si colpiscono le vere auto blu, quelle cioè al servizio degli organi politici e degli altissimi dirigenti (con le quali ogni tanto qualcuno fa la spesa o le vacanze, tanto per capirsi), bensì l’intero parco auto. Per mostrare il trofeo alla folla, il Governo tagli allo stesso modo la macchinona di rappresentanza, come l’utilitaria usata dai messi comunali per le notifiche, dagli infermieri per gli spostamenti tra sedi, dai tecnici per recarsi nei cantieri, dagli assistenti sociali per l’assistenza domiciliare.

In questo modo si pensa di incrementare l’efficienza della pubblica amministrazione? La spending review è una cosa troppo seria, infatti è di provenienza anglo sassone ed è assolutamente diversa per impostazione. Serve a determinare quali spese sono prioritarie rispetto ad altre. Tra taglio delle auto blu e riduzione dei buoni pasto a 7 euro (per rendere più digeribile la manovra alla folla ammansita dagli epigoni di Stella e Rizzo sarebbe stato meglio abolite del tutto il buono paso agli odiati “statali”) si risparmiano, forse, 52 milioni. Meno di due aerei caccia F35, che ne costano 70.

Ma, questa è la “spending review” de noantri con la quale fare i conti. E speriamo di farli un po’ meglio. Perché il decreto nemmeno ottiene l’obiettivo primario, evitare l’incremento di 2 punti dell’Iva, che non scompare, ma viene rinviato al giugno del 2013.

Luigi Oliveri

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