Chi perseguita il coniuge dopo la separazione compie reato di maltrattamenti in famiglia

Redazione 22/06/12
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La Cassazione traccia una netta linea di confine tra i due reati di maltrattamenti in famiglia e stalking, stabilendone la configurabilità, rispettivamente, nelle ipotesi di vessazioni attuate contro il coniuge dopo la separazione, ma prima del divorzio, ovvero successivamente a quest’ultimo.

E lo fa con la sentenza n. 24575 del 20 giugno 2012, della sesta sezione penale, con la quale i giudici confermano la condanna a due anni di reclusione per maltrattamenti in famiglia, nei confronti di un uomo accusato di aver recato molestie, compreso le minacce di suicidio, alla ex compagna, dopo la separazione, ma prima del divorzio.

La Corte distingue le due ipotesi di reato,”maltrattamenti in famiglia” e “stalking“, constatando che “l’oggettività giuridica delle due fattispecie di cui agli art. 572 e 612 bis c.p. È diversa e diversi sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, ancorché le condotte materiali dei reati appaiano omologabili per modalità esecutive e tipologia lesiva“.

Difatti, il reato previsto all’art. 572 c.p., maltrattamenti in famiglia, è “un reato contro la famiglia (per la precisione contro l’assistenza familiare) e il suo oggetto giuridico è costituito dai congiunti interessi delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica.”

La Suprema Corte chiarisce come l’evidente discrimine fra le due fattispecie di reato sia ravvisabile, nella circostanza che, nonostante la lettera della norma faccia riferimento, quale soggetto attivo dei maltrattamenti, a “chiunque“, “il reato di maltrattamenti familiari è un reato proprio, potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un “ruolo” nel contesto della famiglia (coniuge, genitore, figlio) o una posizione di “autorità” o peculiare “affidamento” nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall’art. 572 c.p. (organismi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, professione o arte). Specularmente il reato” – proseguono gli Ermellini – “può essere commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni familiari o assimilate“.

Il Giudice di Legittimità sottolinea, inoltre, che il reato di maltrattamenti prevede l’applicazione di una pena edittale più grave rispetto a quella prevista per il reato di atti persecutori nella sua forma generale di cui all’art. 612 bis, comma 1, codice penale, ovverosia, il reato di stalking.

Soltanto la forma aggravata di stalking, prevista dal secondo comma dell’art. 612 bis c.p., fa riferimento ad ambiti latamente legati alla comunità della famiglia, giacché il soggetto attivo di questa forma aggravata, avente natura di reato proprio, è individuato nel “coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa.”

Sotto questo profilo, ferma restando la possibilità di un concorso apparente di norme che renda applicabili entrambi i reati di maltrattamenti e di atti persecutori, quest’ultima fattispecie, osservano i giudici, diviene idoneo a sanzionare comportamenti che, “sorti in seno alla comunità familiare (o assimilata) ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulerebbero dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo o sodalizio familiare e affettivo o comunque della sua attualità e continuità temporale. Ciò che può valere, in particolare (se non unicamente), in caso di divorzio o di relazione affettiva definitivamente cessata, giacché anche in caso di separazione legale (oltre che di fatto) si può ravvisare il reato di maltrattamenti, al venir meno degli obblighi di convivenza e fedeltà non corrispondendo il venir meno anche dei doveri di reciproco rispetto e di assistenza morale e materiale tra i coniugi”.

Questo il principio stabilito dagli Ermellini di Palazzo Cavour.

Redazione

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