Ddl anticorruzione: non basta l’incompatibilità per una dirigenza realmente autonoma

Luigi Oliveri 06/06/12
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Forse tardivamente, matura la coscienza di un fatto incontrovertibile: autonomia, parità di trattamento, perseguimento di un interesse collettivo e non di parte passano necessariamente per una dirigenza che non abbia collegamenti diretti con i partiti.

L’emendamento[1] al disegno di legge anticorruzione, noto come emendamento “anti trombati”, cerca di fornire, sicuramente in maniera non del tutto sufficiente e comunque ambigua, una risposta al fenomeno ancora troppo presente della selezione dei vertici organizzativi delle amministrazioni effettuata non in base a criteri di merito, bensì sulla base dell’appartenenza ad un’area, se non proprio al possesso di tessere, di partito o sindacali.

L’emendamento probabilmente non si tradurrà mai in una norma, perché introduce una delega legislativa, che, dati i tempi ormai molto brevi di vita del mandato politico, potrebbe essere attuata con molta difficoltà.

Tuttavia, dovesse la delega essere approvata, si innesterebbero in modo chiaro nell’ordinamento principi ovvi, per la verità già tutti desumibili dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, ma costantemente mortificati dalla prassi e da norme eccessivamente largheggianti nel derogare a tali principi, in omaggio ad una politica che cerca i vertici non necessariamente in base alla capacità e al merito (parola della quale si abusa), ma spesso in relazione a frequentazioni e organigrammi di partito.

Ne sono un caso emblematico la vicenda del direttore generale del comune di Parma, la cui nomina (cui si è poi rinunciato) ha seguito esattamente i passi della selezione “politica” nonostante la verve “innovativa” della nuova amministrazione, e l’attuale “selezione” dei membri dell’Agcom.

Intento dell’emendamento sarebbe regolare quando incarichi dirigenziali o comunque di preposizione ai vertici organizzativi di amministrazioni pubbliche e società ed enti partecipati, a soggetti “estranei alle amministrazioni”, cioè non assunti per concorso non possano essere conferiti, per situazioni di oggettivo conflitto con il principio di separazione delle competenze degli organi gestionali rispetto a quelli politici, posto in maniera chiara dall’articolo 4, commi 1 e 2, del d.lgs 165/2001.

Gli incarichi dirigenziali non risulterebbero conferibili nei riguardi di chi in un periodo antecedente al conferimento dell’incarico dirigenziale di almeno tre anni abbia fatto parte di organi di indirizzo politico, o abbia rivestito incarichi pubblici elettivi o sia stato candidato agli stessi incarichi. L’esclusione dal conferimento di tali incarichi risulterebbe più rigorosa nei confronti di chi abbia svolto incarichi politici nella medesima amministrazione che, poi, assegnerebbe l’incarico dirigenziale.

Viene da chiedersi se la previsione risulti sufficiente per cogliere l’obiettivo vero cui si dovrebbe tendere: costruire una dirigenza pubblica forte, non contrapposta alla politica della quale deve tradurre gli indirizzi in modo leale, ma nemmeno servile alla politica. O, per meglio dire, un simulacro di dirigenza, composta, in realtà, da politici veri e propri che “vestiti” da dirigenti possano consentire di violare proprio il principio di separazione citato prima, consentendo alla politica di ingerirsi anche nei minuti casi gestionali: dalla licenza al permesso, dall’approvazione del progetto al controllo.

Probabilmente, la delega, anche venisse attuata, non sanerebbe la piaga dell’ingerenza politica negli incarichi dirigenziali. Tre anni di forzato stop da incarichi politici formali non sono certo il “lavacro” utile a sanare davvero l’asetticità che dovrebbe caratterizzare una dirigenza davvero intenta a perseguire l’interesse della Nazione, come pretende l’articolo 98 della Costituzione, e non di una parte al governo. Ovviamente, la norma non può vietare a nessuno di coltivare idee politiche anche attraverso funzioni attive o, comunque, vicine ai partiti.

Ciò che nel sistema non funziona, in realtà, non è tanto il problema di possibili incompatibilità tra la funzione gestionale dei dirigenti ed un troppo scoperto ruolo politico di chi sia chiamato a svolgere la funzione dirigenziale, quanto proprio il sistema di reclutamento.

In altre parole, è la cooptazione intuitu personae o fiduciaria e, comunque, senza selezione competitiva aperta a tutti (o vogliamo dire concorso?) il vero problema.

Inutile girarci intorno. Nonostante l’articolo 97 della Costituzione e gli articoli 28 e 35 del d.lgs 165/2001 impongano il sistema del concorso per selezionare i dipendenti, e a maggior ragione, i dirigenti, le deroghe a questa modalità di reclutamento sono tantissime non solo nella legge (articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, regolamenti ministeriali, articolo 110 d.lgs 267/2000), ma soprattutto nella prassi, proprio per permettere al politico di turno di attorniarsi di persone con le quali condivida un orientamento politico.

L’emendamento precisa che il divieto di conferimento di incarichi a chi abbia manifestato esplicitamente un’appartenenza politica nei tre anni precedenti (o chi attualmente svolga attività politica amministrativa) debba specificamente riguardare “gli incarichi amministrativi di vertice nonché gli incarichi dirigenziali, anche esterni, nelle pubbliche amministrazioni che comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione”.

Ci va vicino, la proposta, alla vera soluzione. Effettivamente, stride con i principi costituzionali la possibilità che incarichi di vertice cui sia connessa la concreta gestione possano essere attribuiti a soggetti cooptati senza una selezione concorsuale.

I rimedi veri sembrano, allora, solo due. Per le attività di vertice e quelle connesse alla gestione concreta l’unico modo per accedere alla dirigenza dovrebbe essere un concorso; la selezione potrebbe essere evitata solo nei riguardi di chi già possieda la qualifica dirigenziale o rivesta, in ambito pubblico, qualifiche di non minore professionalità (magistrati, avvocati dello Stato, professori universitari…).

Uno spazio di scelta per collaboratori diretti per gli organi di governo potrebbe residuare solo nell’ambito di funzioni dirigenziali connesse strettamente al mandato politico, senza alcuna implicazione gestionale: capo ufficio stampa, consigliere politico (carica, tuttavia, utile solo nei ministeri, non presso soggetti amministrativi come gli enti locali), capo di gabinetto, se l’organizzazione risulti particolarmente complessa.

Finchè non si prenderà atto che occorre riservare un terreno limitato a queste tipologie di attività dirigenziali, non vi sarà normativa realmente capace di evitare la cooptazione e la mortificazione di merito e autonomia.


[1] Proposta emendativa 4.0600. in Assemblea riferita al C. 4434-A

Proposta emendativa pubblicata nell’Allegato A della seduta del 31/05/2012

Dopo l’articolo 4, aggiungere il seguente:

A  RT. 4-bis. – (Delega al Governo per la disciplina dei casi di non conferibilità e di incompatibilità degli incarichi dirigenziali). – 1. Ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione e della prevenzione dei conflitti di interesse il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a rivedere la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165, e nei soggetti di diritto privato in controllo 30 marzo 2001, n. pubblico esercitanti funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, nonché a rivedere la disciplina vigente in materia di incompatibilità tra i detti incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con l’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:  

   a) definire una disciplina organica dei casi di non conferibilità e di incompatibilità degli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni di cui di cui all’articolo 1, comma 2, del 165, con particolare riguardo per decreto legislativo 30 marzo 2001, n. quelli, da attribuire a soggetti interni o esterni alle pubbliche amministrazioni, che comportano funzioni di amministrazione e gestione, ai fini della garanzia della massima imparzialità dei titolari degli incarichi nello svolgimento delle loro funzioni e ai fini della prevenzione dei fenomeni di corruzione e cattiva amministrazione;

   b) prevedere in modo esplicito i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali, adottando in via generale il criterio della non conferibilità per coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti dal Libro II, Titolo II, Capo I del codice penale, nonché per coloro che, per un adeguato periodo di tempo, non inferiore ai tre anni, antecedente al conferimento, abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in imprese sottoposte a regolazione, a controllo o a contribuzione economica da parte dell’amministrazione che conferisce l’incarico;

   c) disciplinare i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni che, per un adeguato periodo di tempo, non inferiore ai tre anni, antecedente al conferimento, abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico, abbiano rivestito incarichi pubblici elettivi o siano stati candidati agli stessi incarichi, escludendo in ogni caso il conferimento di incarichi dirigenziali a coloro che presso le medesime amministrazioni abbiano svolto incarichi di indirizzo politico o incarichi pubblici elettivi, nel periodo immediatamente precedente al conferimento dell’incarico, comunque non inferiore ai tre anni. I casi di non conferibilità vanno graduati in rapporto alla rilevanza degli incarichi di carattere politico svolti e all’ente di riferimento.

   d) comprendere tra gli incarichi oggetto della disciplina:

1) gli incarichi amministrativi di vertice nonché gli incarichi dirigenziali, anche esterni, nelle pubbliche amministrazioni che comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione;

2) i direttori generali, sanitari e amministrativi delle aziende sanitarie locali;    

3) gli amministratori di enti pubblici e di soggetti di diritto privato in controllo pubblico;    

   e) disciplinare i casi di incompatibilità tra gli incarichi di cui alla lettera d) già conferiti e lo svolgimento di attività, retribuite o non, presso imprese private sottoposte a regolazione, a controllo o a contribuzione economica da parte dell’amministrazione che ha conferito l’incarico o lo svolgimento in proprio di attività professionali, se l’impresa o l’attività professionale è soggetta a regolazione o a contribuzioni economiche da parte dell’amministrazione;

   f) disciplinare i casi di incompatibilità tra gli incarichi di cui alla lettera d) già conferiti e l’esercizio di cariche negli organi di indirizzo politico.

Il Governo

Luigi Oliveri

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