La necessità delle motivazioni nel rapporto di lavoro a tempo determinato

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Il DDL di riforma del mercato del lavoro, attualmente all’esame delle Camere, introduce una modifica innanzitutto al contratto di lavoro a tempo determinato e lo fa in uno dei suoi primi articoli, il terzo. Non si tratta di una sistemazione di poco conto, ma di una vera e propria incisione, a mio parere; infatti, nel caso in cui venisse approvato, per la sua stipulazione non saranno più richieste motivazioni di “carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo[…]” se di durata inferiore ai sei mesi.

E’ doveroso fare qualche passo indietro per comprendere la portata innovativa di tale intervento.

Il D.Lgs. 368/01 precisa fin da subito, nel suo primo articolo, che “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato” ed inoltre “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,organizzativo o sostitutivo[…]”. In tale formulazione viene in rilievo l’espressione “di regola”, l’ordine costante, la norma con riferimento al primo tipo di rapporto, contrapposta a “è consentito”, ovvero sia una concessione, un permesso associata al secondo; il legislatore ha dunque voluto espressamente stabilire che il rapporto di lavoro non ha scadenza, solo in specifiche circostanze ed in costanza di eventi particolari può avere una durata limitata. Almeno fino ad ora.

Tale principio è stato introdotto nel nostro ordinamento con la L.230/1962 in cui veniva menzionata una casistica di “casi eccezionali” poi ampliata e rafforzata da successivi interventi quali il d.l.876/1977, con estensione dell’applicazione del contratto a tempo determinato al settore turistico e commerciale, il d.l. 17/1983, che ha esteso questa “eccezione” a tutti i settori economici, la L.56/1987 ed infine il sopra citato D.Lgs. 368/2001.

Che l’apposizione di un limite temporale al contratto di lavoro subordinato sia un’eccezione è confermato peraltro dalla disciplina prevista nei commi successivi dell’art.1 D. Lgs.368/01: la forma scritta è necessaria a pena di inefficacia e l’atto deve essere consegnato entro cinque giorni al lavoratore. In caso contrario, il rapporto si intende a tempo indeterminato. Inoltre, in specifiche circostanze espressamente previste all’art. 3 del medesimo decreto, non è ammesso assumere personale per un periodo di tempo limitato, come in caso di sostituzione di lavoratori in sciopero.

La ratio di tale previsione normativa risiede innanzitutto nella speciale tutela che il legislatore ha voluto accordare al lavoratore in quanto persona a cui é riconosciuto un bagaglio di diritti non solo dall’ordinamento italiano ma dalle principali Convenzioni europee. Egli infatti sarebbe parte debole in un rapporto non paritario, in cui si presume che il datore di lavoro non possa servirsi dell’uomo al pari di altri mezzi (materiali) con cui porta avanti l’attività economica.

Il nuovo testo all’esame del parlamento, invece, dispone che non sono più necessarie ragioni organizzative, produttive, sostitutive o tecniche per instaurare rapporti di lavoro subordinato di durata non superiore a sei mesi. Di fatto, negli ultimi anni molte aziende si sono servite di questa tipologia contrattuale per assumere personale solo temporaneamente e si è venuta a creare una moltitudine precaria di individui che cambiano lavoro di sei mesi in sei mesi non trovando una stabile occupazione che consenta loro di progettare a lungo termine. A questo proposito il disegno di legge in analisi asserisce nei suoi primi commi che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è “la forma comune” di rapporto di lavoro.

Tale disposizione, tuttavia, sembrerebbe ridurre la valenza e l’estensione dello storico principio precedentemente descritto in quanto per “forma comune” potrebbe intendersi una tipologia contrattuale molto diffusa ma non per questo obbligatoria, come invece stabilisce (o stabiliva?) il D. Lgs. 368/01 con il suo “di regola”.

Se dunque ratio del ddl è dare maggiore spazio alla flessibilità rispetto al passato, occorrerebbe verificare in che misura questa possa considerarsi la giusta ricetta per fronteggiare l’attuale crisi ed i rivolgimenti macroeconomici in corso e quindi predisporre ulteriori tutele per gli individui-lavoratori-flessibili che devono affrontare una nuova realtà.

Si tratta di attendere la stesura definitiva del testo legislativo e la sua pubblicazione. Fondamentale sarà pertanto anche il successivo contributo giurisprudenziale a fronte delle singole e concrete fattispecie .

Miriam Cobellini

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