La Consulta e il mancato pronunciamento sulla fecondazione eterologa

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Lo scorso 22 Maggio, la Consulta reinviava gli atti rispettivamente ai Tribunali di Firenze, Catania e Milano, i quali, a suo tempo, avevano presentato ricorso sulla legittimità costituzionale del divieto alla fecondazione eterologa, sancito dalla Legge 40/2004.

Per “ fecondazione eterologa “ si intende quella realizzata grazie al ricorso di ovuli e/o di spermatozoi non appartenenti alla coppia.

I giudici di Firenze, Catania e Milano avevano espresso dubbi sulla costituzionalità degli articoli della Legge 40 proibenti la fecondazione eterologa, partendo da tre distinte cause, riguardanti ovviamente coppie diverse. Queste risultavano tutte impossibilitate ad avere figli ricorrendo alle tecniche di procreazione assistita consentite in Italia. In tutti e tre i casi in oggetto, uno dei due aspiranti genitori risultava essere completamente sterile; per cui, l’unica strada percorribile verso la procreazione poteva essere quella del ricorso ad un donatore dello sperma o dell’ovulo. Cosa assolutamente vietata dalla nostra attuale normativa.

Reinviando gli atti ai Tribunali, la Corte Costituzionale ha sostanzialmente evitato un delicato pronunciamento su un così importante argomento di bioetica, invitando i giudici ordinari a rivalutare la questione alla luce della recente ( 3 Novembre 2011 ) sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La decisione di Strasburgo aveva stabilito che impedire per legge, alle coppie sterili, il ricorso alla fecondazione in vitro eterologa non costituisce alcuna violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

I Tribunali fiorentino, catanese e milanese potranno dunque decidere, alla luce della su citata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che il divieto di fecondazione eterologa non sia più in contrasto coi princìpi costituzionali, oppure potrebbero nuovamente insistere sull’incostituzionalità, inviando, per la seconda volta, la questione alla Consulta.

Con quest’ultima, è la quinta volta in tutto che la legge 40 è finita sui banchi della Corte Costituzionale (nel 2005, due volte nel 2009 e una nel 2010 e infine ora). Se si considerano anche i ricorsi per altre parti della legge come quelli per ottenere la possibilità di congelamento degli embrioni, la diagnosi preimpianto e il limite di utilizzo di tre embrioni per ciclo di fecondazione sono complessivamente 16 le volte che i giudici hanno ordinato l’esecuzione delle tecniche di fecondazione secondo i principi Costituzionali affermando i diritti delle coppie e non secondo la legge 40. Nel 2004, il tribunale di Cagliari sentenzia che non c’è differenza tra gravidanza ottenuta con Pma e gravidanza naturale. Nel 2007 una sentenza del Tribunale di Cagliari ha riconosciuto che la diagnosi preimpianto è consentita. A dicembre anche il tribunale di Firenze ha confermato la decisione di Cagliari per un altra coppia, consentendo l’indagine preimpianto. Il 23 gennaio 2008 il Tar del Lazio, oltre ad annullare le linee guida per l’applicazione della legge per «eccesso di potere»nella parte in cui vietavano le indagini cliniche sull’embrione, ha sollevato la questione di costituzionalità delle norme che prevedono la possibilità di produrre un numero di embrioni non superiore a tre e l’obbligo del contemporaneo impianto. Il 26 agosto del 2008 il tribunale di Firenze per due procedimenti diversi ha sollevato nuove questioni di costituzionalità sul del limite della creazione di soli tre embrioni. Il 13 gennaio 2010 il giudice Antonio Scarpa, del Tribunale di Salerno, ha autorizzato, per la prima volta in Italia, la diagnosi genetica preimpianto ad una coppia fertile portatrice di una grave malattia ereditaria, l’Atrofia Muscolare Spinale di tipo 1. Il 6 ottobre la prima sezione del Tribunale civile di Firenze ha sollevato il dubbio di costituzionalità sul divieto delle coppie sterili di accedere alla fecondazione eterologa, con ovuli o seme donati da persone esterne alla coppia. Il 22 ottobre il tribunale di Catania ha sollevato la stessa questione, così come il tribunale di Milano.

Antonio Ruggeri

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