Finanziamento pubblico dei partiti: nominato il “super tecnico”

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La vicenda del finanziamento pubblico o dei rimborsi elettorali ai partiti non finisce mai di stupire.

Dal comunicato del Governo si apprende che il Consiglio dei Ministri del 30 aprile, dopo una lunghissima seduta dedicata all’esame del rapporto sulla spending review, predisposto dal Ministro Giarda “per quanto riguarda i partiti e i sindacati, ha conferito al Professor Giuliano Amato l’incarico di fornire al Presidente del Consiglio analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dei principi di cui all’articolo 49 della Costituzione, sul loro finanziamento nonché sulle forme esistenti di finanziamento pubblico, in via diretta o indiretta, ai sindacati”.

Tentiamo una breve ricostruzione della vicenda partendo dal referendum del 18 e 19 aprile 1993.

Al quesito: “Volete voi che siano abrogati gli artt. 3 e 9 della legge 2 maggio 1974, n. 195: “Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici”, così come modificati e integrati: dalla legge 16 gennaio 1978, n. 11: “Modifiche alla legge 2 maggio 1974, n. 195”; dall’art. 3, comma 1 e dal comma 6 della legge 18 novembre 1981, n. 659: “Modifiche ed integrazioni alla legge 2 maggio 1974, n. 195 sul contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici”?, i cittadini risposero in massa con ben il 90,30%di risposte affermative pari a 31.225.867 votanti (pari a circa il 65,12% del corpo elettorale).

Nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiorna, con la legge n. 515 del 10 dicembre 1993, la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994.

Per l’intera legislatura vengono erogati in unica soluzione 47 milioni di euro.

La stessa norma viene applicata in occasione delle successive elezioni politiche del 21 aprile 1996.

La norma prevedeva del 1993 una ripartizione su base regionale del fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica in proporzione alla rispettiva popolazione. Avevano diritto alla ripartizione del fondo i gruppi di candidati con almeno un candidato eletto nella regione o almeno il 5 per cento dei voti validamente espressi in ambito regionale.

Per la Camera dei deputati la ripartizione avveniva, in proporzione ai voti conseguiti, tra i partiti e i movimenti che abbiano superato la soglia dell’1 per cento dei voti validamente espressi in ambito nazionale.

Nel 1997, con la legge 2 gennaio 1997 n. 2 recante: “Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici”, di fatto si reintroduce il finanziamento pubblico ai partiti.

All’atto della dichiarazione annuale dei redditi delle persone fisiche, ciascun contribuente può destinare una quota pari al 4 per mille dell’imposta sul reddito al finanziamento dei movimenti e partiti politici, senza poter indicare a quale partito.

La data per l’erogazione in favore dei partiti viene fissata entro il 31 gennaio di ciascun anno.

Con la stessa legge, si introduce l’obbligo di redigere un bilancio per competenza, comprendente stato patrimoniale e conto economico.

I controlli continuano a essere affidati alla Presidenza della Camera.

E’ soggetto al controllo della Corte dei Conti solo il rendiconto delle spese elettorali.

L’adesione alla contribuzione volontaria per destinare il 4 per mille ai partiti sarà scarsissima.

La legge n. 157 del 3 giugno 1999, “Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici”, reintroduce un finanziamento pubblico completo per i partiti. Il rimborso elettorale previsto non ha infatti attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. La legge 157 prevede cinque fondi: per elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali, e per i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di legislatura politica completa (l’erogazione viene interrotta in caso di fine anticipata della legislatura). La legge entra in vigore con le elezioni politiche italiane del 2001.

La normativa viene modificata dalla legge n. 156 del 26 luglio 2002, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali”, che trasforma in annuale il fondo e abbassa dal 4 all’1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale.

Infine, con la legge n. 51 del 23 febbraio 2006: l’erogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Con quest’ultima modifica l’aumento è esponenziale. Con la crisi politica italiana del 2008, i partiti iniziano a percepire il doppio dei fondi, giacché ricevono contemporaneamente le quote annuali relative alla XV Legislatura della Repubblica Italiana e alla XVI Legislatura.

Soltanto con l’art. 6 del D. L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito in Legge 211/2011 viene nuovamente previsto che “In caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi è interrotto. In tale caso i movimenti o partiti politici hanno diritto esclusivamente al versamento delle quote dei rimborsi per un numero di anni pari alla durata della legislatura dei rispettivi organi”.

Viene prevista una riduzione complessiva del 30 per cento delle risorse a valere a partire dalla prossima legislatura.

Si può discutere molto sull’opportunità di una finanziamento pubblico per le spese elettorali come garanzia della parità di accesso che non privilegi soltanto i detentori di cospicue disponibilità finanziarie o che renda la politica fatalmente destinata alla dipendenza del potere economico.

Ma sono necessarie forme di incentivazione fiscale del finanziamento privato, accompagnate però da una totale pubblicità del nome d’ogni finanziatore; vanno fissati limiti credibili e ragionevoli di spese e di rimborsi, con controlli ineludibili.

Per dare una risposta agli scandali Lusi e Lega le forze politiche che oggi sostengono il Governo si sono affannate a dichiarare alla stampa il loro impegno a trovare soluzioni immediate: bilanci certificati, sottoposti alla Corte dei conti, disponibili sul web, pubblicità dei nomi di chi versa privatamente oltre 5mila euro, sanzioni pesanti per le violazioni.

Viene annunciata per i primi giorni di aprile una proposta di legge firmata dai tre leader dei partiti che sostengono il Governo e che, vista la amplissima maggioranza, doveva trovare rapidissima approvazione.

Poteva essere l’occasione per i partiti di dare un segnale forte ad un Paese disorientato che non può ulteriormente accettare una classe politica così distante dagli effettivi bisogni dei cittadini ed evitare, almeno su questo tema, di rifugiarsi, nell’incapacità di decidere, alle spalle del governo dei tecnici.

Invece cosa accade?

Della rapidissima proposta di riforma così enfaticamente annunciata, si perdono le tracce.

Il Consiglio dei Ministri del Governo tecnico individua tre super tecnici per gestire i tagli alla spesa: il primo con funzioni di Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi con il compito di definire il livello di spesa per voci di costo; il secondo per fornire al Presidente del Consiglio analisi e raccomandazioni sul tema dei contributi pubblici alle imprese; il terzo per fornire al Presidente del Consiglio analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti, sul loro finanziamento nonché sulle forme esistenti di finanziamento pubblico, in via diretta o indiretta, ai sindacati .

Fra questi dunque, per quanto riguarda il nostro tema, il prof. Giuliano Amato.

Il super tecnico Amato dovrà fornire al Governo: “Analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dei principi di cui all’articolo 49 della Costituzione e sul loro finanziamento”.

Analisi e orientamenti sul finanziamento ai partiti?

Il Parlamento non riesce più a decidere, si affida ad un Governo tecnico che a sua volta individua un super tecnico per fornire “Analisi e orientamenti sul finanziamento ai partiti”?

Non ci si può più stupire.

Non c’è dubbio che il prof. Amato sia davvero un “tecnico” della materia.

E’ al Governo nel periodo che porta alla crisi dei partiti tradizionali poi travolti da tangentopoli, dal 1983 al 1989, come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei Governi Craxi; Vice Presidente del Consiglio del Governo Goria e quindi Ministro del Tesoro del Governo De Mita. Affronta da Presidente del Consiglio dei Ministri da giugno 1992 ad aprile 1993 uno dei periodi più difficili, compreso il referendum del 18 aprile 1993 che travolge il sistema del finanziamento pubblico. E’ sempre Ministero del Tesoro, Bilancio e programmazione Economica nel 1999, nel Governo D’Alema quando viene approvata l’attuale legge sui “rimborsi elettorali”. Di nuovo Presidente del Consiglio dal 2000 al 2001 e poi Ministro dell’Interno del Governo Prodi dal 2006 al 2008.

Nell’incapacità dunque del Parlamento di giungere ad una soluzione condivisa, non resta che attendere le “analisi e gli orientamenti” del prof. Amato e le successive conseguenti iniziative del Presidente del Consiglio Monti.

Bisognerebbe sempre partire dalla nostra Carta Costituzionale che all’articolo 49 sancisce: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

I Padri Costituenti avevano ben chiaro il ruolo fondamentale dei partiti, quali libere associazioni dei cittadini allo scopo di concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale.

Da questa disposizione discendono quattro principi soprattutto:

1. La formazione dei partiti è libera: ogni partito ha diritto di cittadinanza nello Stato italiano qualunque ne sia l’ideologia. L’unico limite a tale libertà, scritto nell’art. XII delle disposizioni transitorie della Costituzione, è la riorganizzazione del partito fascista.

2. La repubblica si fonda sul pluralismo dei partiti. L’uso del plurale (“partiti”) nell’art. 49 della Costituzione implica che sarebbe inammissibile un regime a partito unico. I limiti alla fondazione e all’attività dei partiti possono essere soltanto quelli previsti per le associazioni in generale stabiliti dagli articoli 17 e 18 della Costituzione: le riunioni devono essere pacifiche e senza armi; le finalità associative non devono essere vietate dalla legge penale; sono vietate le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

3. Ai partiti è riconosciuta la funzione di determinare la politica nazionale, in concorrenza tra di loro.

4. I partiti devono rispettare il metodo democratico. L’espressione «metodo democratico» definisce il principio per cui la minoranza deve rispettare le decisioni della maggioranza, ma ha la piena libertà di agire, con tutti i mezzi pacifici a sua disposizione, per diventare a sua volta maggioranza e assumere la guida del paese. È proprio del metodo democratico la possibilità dell’alternanza pacifica al potere tra maggioranza e minoranza.

Già nel quadro costituzionale così delineato, può una classe politica mostrarsi credibile di fronte all’opinione pubblica, se, malgrado gli scandali, non riesce a proporre una riforma coerente?

Non è credibile una classe politica che non riesce a riformare l’attuale sistema sulla base di alcune semplicissime regole che ad esempio:

1) stabiliscano un sistema di calcolo dei rimborsi effettivo, con un tetto massimo ammissibile, escludendo che il conteggio delle somme di denaro da erogare sia effettuato sugli aventi diritto al voto e non sui votanti effettivi;

2) riducano in modo significativo le somme erogabili sostituendole con forme di finanziamento indiretto ad esempio servizi, incentivi, sgravi fiscali permanenti o temporanei per il periodo elettorale, etc., anziché denaro;

3) introducano vincoli per l’uso del denaro ricevuto dai partiti politici: vietando che i finanziamenti statali possano costituire oggetto di operazioni di cartolarizzazione o essere ceduti a terzi; vincolando con obblighi di bilancio la destinazione di percentuali delle somme ricevute ad attività politiche volte alla partecipazione politica dei cittadini e in favore delle diramazioni territoriali del partito, il tutto in tutela della democrazia interna ai soggetti politici, nel rispetto ed in attuazione dell’art. 49 della Costituzione.

Sono solo alcuni, anche molto semplici, esempi di possibile riforma del sistema.

Serviva un super tecnico, nominato dal Governo tecnico, per proporre soluzioni di questo tipo?

Probabilmente no.

Nel sito ufficiale del governo è stata allestita un’apposita sezione con lo scopo di illustrare la spending review, quanto è stato fatto finora e i progressi che si attendono per i prossimi mesi.

Tutti i cittadini, attraverso il modulo “Esprimi la tua opinione”, hanno la possibilità di dare suggerimenti, segnalare uno spreco, aiutando i tecnici a completare il lavoro di analisi e ricerca delle spese futili.

Se la politica si arrende al Governo tecnico, che a sua volta nomina tre super tecnici, che a loro volta chiedono aiuto alle “opinioni” dei cittadini per completare il lavoro di analisi e ricerca delle spese futili, allora…

Carlo Rapicavoli

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