La Consulta “assolve” la Procura di Milano sul caso Ruby

Redazione 12/04/12
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La procura di Milano aveva il diritto, nonché l’obbligo costituzionale, di indagare sul reato di natura “comune” commesso dall’ex presidente del Consiglio Silivio Berlusconi senza trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 87 depositata oggi con la quale la Corte Costituzionale rende note le motivazioni per cui ha bocciato nel merito il 14 febbraio scorso il conflitto sollevato dalla Camera dei Deputati nel maggio 2011 nel quale si chiedeva di togliere alla magistratura ordinaria il procedimento per concussione contro l’ex premier, per affidarlo al Tribunale dei ministri.

Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato la Camera lamentava infatti che l’omessa trasmissione al Tribunale dei ministri degli atti dell’inchiesta che vede Berlusconi accusato per la famosa telefonata alla Questura di Milano in cui chiese il rilascio di Ruby (sostenendo che fosse la nipote del Presidente egiziano Mubarak), da parte dei pm e del gip di Milano, avesse leso le proprie competenze costituzionali, impedendole di valutare la natura ministeriale del reato contestato ed eventualmente di negare l’autorizzazione a procedere.

Secondo la tesi della ricorrente, l’art. 6 della legge cost. n. 1 del 1989 obbligherebbe il pubblico ministero che abbia acquisito una notizia di reato a carico del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero di un ministro, ad attivarsi, perché il procedimento sia assegnato al collegio di cui al successivo art. 7, in modo che, tramite quest’ultimo, il competente ramo del Parlamento possa interloquire nella fattispecie, difendendo le proprie attribuzioni.

La Consulta respinge tuttavia nettamente questa tesi, rigettando anche la pretesa avanzata dalla Camera di essere quantomeno avvertita dai magistrati del procedimento a carico di Berlusconi.

Precisa infatti la Corte che “quando si tratta di un reato comune, in difetto di una norma espressa, il Parlamento non ha titolo per pretendere che l’azione del potere  giudiziario sia aggravata da un ulteriore adempimento“.

La vicenda che costituisce oggetto del ricorso – spiegano i giudici costituzionali – concerne, infatti, un reato (il reato di concussione, l’unico in relazione al quale è stato sollevato il conflitto) che l’autorità giudiziaria ha ritenuto immediatamente privo di carattere funzionale e la cui natura ministeriale non è stata posta a fondamento del conflitto”.

In tali circostanze, – si legge nella sentenza – non solo il potere giudiziario, ritenendo il reato di natura comune, poteva omettere di investire il tribunale dei ministri della notizia di reato, ma ne era costituzionalmente obbligato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 96 Cost. e 6 della legge cost. n. 1 del 1989, non essendogli possibile sottrarsi all’accertamento della penale responsabilità nelle forme proprie della giurisdizione ordinaria penale (art. 112 Cost.), se non in presenza delle deroghe tassative prescrivibili dalla sola Costituzione, e che neppure il legislatore ordinario potrebbe ampliare”.

Pertanto, “spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Milanoe al Giudice per le indagini preliminari di detto Tribunale esercitare le proprie attribuzioni, omettendo di informare la Camera dei deputati della pendenza del procedimento penale nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri in carica“.

Qui il testo integrale della sentenza n. 87 del 12/04/2012 della Corte Costituzionale

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