La confisca dei beni è legittima anche se il mafioso è deceduto

Redazione 10/02/12
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E’ pienamente conforme al dettato costituzionale la norma che prevede la confisca dei beni, in caso di morte “del soggetto (mafioso) nei confronti del quale potrebbe essere disposta”, anche nei riguardi dei successori “a titolo universale o particolare, entro il termine di cinque anni dal decesso”.

Lo afferma la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 21 depositata in cancelleria il 9 febbraio 2012, giudice relatore e redattore Giorgio Lattanzi, con la quale dichiara inammissibili e non fondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in relazione all’ articolo 2-ter, comma 11, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere).

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, seconda sezione penale, con ordinanza del 3 marzo 2011 aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale della disposizione, per violazione degli articoli 24, primo e secondo comma, e 111 della Costituzione.

Brevemente, la vicenda. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli nel settembre 2009 aveva fatti istanza di sequestro e di successiva confisca, a norma dell’art. 2-ter, comma 11, della legge n. 575 del 1965, dei beni nella disponibilità di una persona deceduta nel 2004. Il PM aveva individuato, quali soggetti nei cui confronti avanzare la proposta, i successori a titolo universale del defunto. Il Tribunale rimettente per cui dispone il sequestro anticipato dei beni già nella disponibilità del defunto e fissa l’udienza per la trattazione in camera di consiglio, integrando il contraddittorio con i successori dello stesso a titolo universale. All’udienza, i difensori degli eredi del mafioso contestano tuttavia la sussistenza dei presupposti normativi posti a base del sequestro e, richiamando alcune pronunce della Corte di Cassazione e della Corte europea dei diritti dell’uomo, deducono “il contrasto della procedura con il principio costituzionale del “giusto processo”, in quanto implicante un accertamento incidentale della “responsabilità di prevenzione di un soggetto deceduto impossibilitato a difendersi rispetto alle accuse che gli verrebbero mosse”, sia per la ontologica inesistenza del soggetto stesso, sia per la carenza di un sistema di rappresentanza che sia effettivo e plausibile“.

Da qui, l’ordinanza di rimessione del giudice a quo, che in primis deduce “la violazione delle garanzie processuali, facendo riferimento al soggetto nei confronti del quale la confisca avrebbe dovuto essere disposta, ossia al soggetto deceduto”. Il rimettente, osserva la Consulta, rileva tra l’altro che “neppure sarebbe ipotizzabile immaginare un contraddittorio instaurato validamente con un eventuale difensore del de cuius (che si facesse carico di difendere la sua posizione sia in ordine ai profili personali che patrimoniali della procedura) e ciò in quanto, da una parte, l’art. 2-ter, undicesimo comma, della legge n. 575 del 1965 contempla solo i successori come soggetti nei cui confronti avanzare la proposta di confisca di prevenzione e, dall’altra, l’ordinamento non prevede tale evenienza, comportando la morte dell’interessato l’immediata estinzione del rapporto processuale”

La Corte Costituzionale osserva anche come il giudice a quo metta in evidenza il fatto che “il legislatore ha costruito la fattispecie prescindendo dalla posizione del de cuius pericoloso e ritenendo integrato il contraddittorio formale nei confronti dei suoi successori a titolo universale o particolare. Da questo punto di vista, il rimettente esclude la praticabilità di una via, alternativa alla questione di legittimità costituzionale, che valorizzi, ai fini del vaglio incidentale sulla pericolosità del de cuius, il «materiale istruttorio» raccolto, in contraddittorio, nell’ambito di un procedimento già svoltosi nei confronti del proposto poi deceduto per reati dai quali sia possibile desumere la sua qualità di indiziato ai sensi dell’art. 1 della legge n. 575 del 1965: tale soluzione a suo avviso «non appare soddisfacente proprio sotto il profilo del diritto di difesa e del principio del contraddittorio e della parità delle armi, sanciti dagli articoli 24 e 111 della Costituzione», in quanto prescinde dalla «possibilità che il soggetto nei cui confronti si formula pur sempre un giudizio di pericolosità (ma anche di disponibilità, sproporzione ed illecita provenienza dei beni) si difenda sul punto in quella che è la sede propria dell’accertamento», ossia nel procedimento di prevenzione instaurato dopo la morte e in relazione alle sue finalità specifiche“.

La Consulta rileva in via preliminare come, successivamente all’ordinanza di rimessione, sia stato emanato il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia), che all’art. 18 riproduce, con alcune variazioni lessicali, la disposizione censurata.

I giudici costituzionali, nella formulazione del ragionamento che li ha portati a rigettare la questione, osservano che “nel procedimento delineato dalla disposizione censurata, parti sono i «successori a titolo universale o particolare» del «soggetto nei confronti del quale [la confisca] potrebbe essere disposta» e non quest’ultimo: sono dunque del tutto prive di fondamento le argomentazioni volte a riferire le ipotizzate violazioni del diritto di difesa e del principio del contraddittorio al soggetto deceduto e non ai suoi successori, senza dire dell’erroneità dell’attribuzione ad una persona defunta della titolarità di una posizione processuale propria

Riguardo poi alle censure mosse all’art. 2-ter, comma 11, della l. 575/1965 volte all’asserito vulnus al diritto di difesa e al principio del contraddittorio, la Corte precisa che, al riguardo, “al successore sono assicurati, nel procedimento in questione, i mezzi probatori e i rimedi impugnatori previsti per il de cuius, sicché ciò che può mutare è solo il rapporto di conoscenza che lega il successore stesso ai fatti oggetto del giudizio e in particolare, nella specie, a quelli integranti i presupposti della confisca“. “Tale circostanza, – precisa la Consulta – tuttavia, potrebbe, in linea astratta, incidere sugli specifici profili del procedimento relativi  alle varie «valutazioni demandate al giudice (sussistenza degli indizi di appartenenza del proposto deceduto ad associazioni mafiose; verifica della disponibilità da parte di quest’ultimo di beni; verifica dei presupposti di sproporzione ed illecita provenienza)», ma non sulla possibilità di procedere nei confronti dei successori, prevista dalla disposizione censurata; il che mette in luce, da un primo punto di vista, la non fondatezza della questione”.

Infine la Corte Costituzionale sottolinea l’impropria sovrapposizione delle caratteristiche peculiari del procedimento penale a quelle del procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale. “L’individuazione, operata dal rimettente,  – osserva la Corte – della «presenza fisica dell’interessato» (o almeno della sua «possibilità astratta di partecipare») quale «momento fondamentale del rapporto processuale, che condiziona la correttezza globale del giudizio», in cui si sostanzia il nucleo essenziale della questione, non è giustificata con riferimento a un procedimento finalizzato all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca”. Le specificità del procedimento di prevenzione devono essere valutate alla luce della specifica ratio della confisca in esame, una ratio che, come ha affermato in passato la Corte, da un lato, “comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al “circuito economico” di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo” e, dall’altro, “a differenza di quella delle misure di prevenzione in senso proprio, va al di là dell’esigenza di prevenzione nei confronti di soggetti pericolosi determinati e sorregge dunque la misura anche oltre la permanenza in vita del soggetto pericoloso“.

Qui il testo integrale della sentenza n. 21 del 9 febbraio 2012 della Corte Costituzionale

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