Il delitto perfetto e le sue conseguenze: “L’assassino” di Georges Simenon

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Premetto, per correttezza nei confronti del lettore, che sono un po’ di parte nel recensire “L’assassino” di Georges Simenon, opera giovanile pubblicata nei mesi scorsi da Adelphi.

Sono un po’ di parte perché già in altre sedi l’ho definita come quella che è stata la mia migliore lettura di genere nel 2011, nonostante alcune critiche letterarie l’abbiano definita troppo cupa, fumosa, scritta di fretta e ancora immatura rispetto ad altri capolavori successivi del romanziere. Cercherò, però, di accantonare le preferenze personali (e il “colpo di fulmine”) per valutare i pregi e gli eventuali difetti dell’opera.

Questo libro è stato scritto verso la metà degli anni Trenta del secolo scorso. Il tema cardine di tutta la trama è (apparentemente) molto semplice: il delitto (passionale) perfetto.

Un pacato e abitudinario dottore di un paesino della Frisia, Hans Kuperus, in un freddo gennaio, di ritorno da un viaggio ad Amsterdam, decide di fermarsi, armato, nell’alcova dove la moglie incontra solitamente l’amante per poi ucciderli e gettare i loro corpi nel lago.

Il romanzo inizia da questo punto, tra introspezione psicologica, attività investigative, gossip paesano e momenti di pazzia dell’assassino che, incredibilmente, non si spiega il motivo per cui la giustizia non riesca ad arrivare in fretta a lui.

L’attenzione magistrale di Simenon, in questo caso, è per la discesa verso gli inferi di un pacato professionista che, alla fine, sarà molto più condizionato dai suoi comportamenti che dalle reazioni di chi ha intorno (e sospetta di lui).

Ora, di certo il lettore noterà che, in questo romanzo, a Simenon, più che la trama poliziesca (e ricca di colpi di scena) interessa il “viaggio” di ogni singolo personaggio all’interno della vicenda.

E i personaggi, come prevedibile, sono tutti “al limite”: dalla domestica sedotta a un truffatore che si relaziona col dottore, dai compaesani sospettosi agli avventori dell’Accademia del Biliardo. Simenon tratteggia tutti caratteri problematici per ravvivare la storia, soprattutto seminando tra le pagine soggetti che da un momento all’altro sembrano tutti in grado di tenere comportamenti imprevedibili.

La sequenza degli accadimenti, in conclusione, è strettamente collegata alla volubilità dei personaggi e alle loro reazioni spesso improvvise e poco meditate.

Ciò connota questo scritto come un giallo molto più psicologico che d’azione (e di solida trama), forse un po’ ingenuo, ma che già fa trapelare un’incredibile capacità nel tratteggiare le persone e il loro relazionarsi con il mondo che le circonda: il ghiaccio, il buio, i locali sporchi e fumosi diventano elemento essenziale del quadro d’insieme.

Giovanni Ziccardi

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