PA Digitale: governo nuovo, errori vecchi?

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Periodo intenso per il Governo Monti: ad una settimana dal decreto legge “Cresci Italia” oggi il Consiglio dei Ministri licenzia il c.d. decreto  semplificazione.

Tra le diverse misure all’esame del Governo, secondo la bozza che – come prassi – ormai filtra dagli ambienti governativi, vi sono alcune misure in materia di innovazione: tra le altre, costituzione di una “cabina di regia” sull’agenda digitale e rilascio dei certificati on line.

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Confesso che, avendo nutrito molte speranze nell’esecutivo guidato dal prof. Monti,  rimango molto deluso da queste indiscrezioni; spero di sbagliarmi, ma mi sembra che si stiano ripetendo gli stessi errori in cui sono caduti tutti i precedenti Governi.

1. Si riparte da zero. 

La prima cosa che colpisce è che un governo destinato a durare – al massimo – un anno e mezzo abbia deciso di redistribuire (per l’ennesima volta) le competenze tra i Ministeri.

Si ricorderà che – all’indomani della costituzione dell’esecutivo tecnico – in tanti si erano lamentati dell’assenza di un Ministro dell’Innovazione; si replicò, a mio avviso giustamente, che un Ministro “dedicato” non era necessario. Quello che stupisce è che – secondo le indiscrezioni – le competenze (e gli uffici) in materia di innovazione dovrebbero essere divise tra due ministeri (Pubblica Amministrazione, MIUR, Sviluppo Economico).

A prescindere dalle considerazioni di merito (non si comprende la logica di tale “redistribuzione”), non può farsi a meno di rilevare che sono già passati più di due mesi dall’insediamento del Governo e – presumibilmente – saranno necessari ulteriori assestamenti; si rischia – ancora una volta – che le scelte “organizzative” distolgano dalla gestione della transizione da una PA ancora troppo legata al cartaceo ad una PA consapevolmente digitale.

2. Non si esce dalla logica degli annunci. 

In questa settimana sono diversi i Ministri che hanno parlato di innovazione e i loro annunci sono del tutto analoghi a quelli fatti dai loro predecessori.

Un esempio su tutti: è dai tempi di Bassanini che si fanno annunci sull’imminente fine dei certificati e le norme in materia ci sono già (addirittura dal 1° gennaio 2012 è iniziata l’era della “decertificazione”).

Non serve quindi un nuovo decreto, sarebbe sufficiente occuparsi dell’attuazione di quelle norme che ci sono già (Codice dell’Amministrazione Digitale innanzitutto). Ed invece nessuno pare interessarsi di queste attività, forse più oscure, ma sicuramente indispensabili. Il 25 gennaio 2012, ad esempio, è passato un anno dall’entrate in vigore del “nuovo CAD” (D. Lgs. n. 235/2010), ma le regole tecniche necessarie per consentire la gestione telematica dei procedimenti amministrativi non sono state ancora emanate.

E cosa dire delle regole tecniche sulla fatturazione elettronica che dovrebbero essere emanate dal Ministero dell’Economia? Tale riforma dovrebbe comportare minori costi per il Paese stimati tra 10 e 60 miliardi di euro l’anno, pari a una quota di PIL tra l’1% e il 4%; solo laPubblica Amministrazione risparmierebbe circa 3 miliardi di euro l’anno.

Eppure il nuovo Ministro dell’Economia, al pari del precedente, non si è ancora occupato della questione.

Infine, leggendo gli obiettivi dell’emananda “Agenda Digitale”, sorge spontanea un’altra domanda: che fine farà l’attuale piano di E-Gov? Sarà aggiornato o abbandonato? E tutte le azioni già avviate che fine faranno?

3. Non esiste innovazione a costo zero.

Dal punto di vista normativo, la possibilità (anzi, l’obbligo) di interloquire con cittadini e imprese in modalità telematica, esiste già. La mia esperienza di consulente e formatore mi insegna che, spesso, le amministrazioni non hanno gli strumenti tecnici necessari (firme digitali, caselle PEC, scanner e – a volte – neanche PC efficienti).

I provvedimenti emanati dai precedenti Governi non hanno davvero cambiato l’Amministrazione italiana perché gli esecutivi degli ultimi anni non hanno destinato specifiche risorse all’innovazione delle PA. Mi chiedo, quindi, con quali soldi il nuovo esecutivo abbia intenzione di attuare le riforme che si prefigge.

Sono sempre più convinto che non può esistere vera innovazione senza investimenti (in tecnologie e in formazione soprattutto)!

4. Le decisioni vengono sempre imposte dall’alto. 

La bozza del Decreto all’esame del Consiglio dei Ministri è pubblicata su alcuni siti e, comunque, è conosciuta dai tanti giornalisti che ne scrivono sui quotidiani.

Eppure, nessuna traccia sul sito del Governo né tantomeno viene avviata una consultazione pubblica.

Il Governo Inglese, che pure sta riflettendo su come semplificare la propria burocrazia, ha realizzato un’interessante iniziativa di crowdsourcing denominata “Tell us How” (trad. “Diteci come”) dedicata ai dipendenti pubblici che hanno avuto la possibilità di fare proposte sulle azioni da compiere per rendere la macchina amministrativa più veloce, meno costosa e più semplice.

Quando il 5 dicembre scorso, il Presidente Monti aveva detto che sarebbe stato aperto una canale di consultazione telematica con i cittadini, avevo finalmente pensato che sarebbe arrivata anche in Italia la stagione dell’Open Government, un Governo aperto alla collaborazione; tanto più che l’art. 9 del D. Lgs. n. 82/2005 prevede che “le pubbliche amministrazioni favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico“.

Eppure nulla in questo senso è stato fatto fino ad oggi.

Probabilmente passi di questo tipo verranno fatti in futuro, ma – per il momento – dobbiamo registrare che su temi importanti (come pensioni, liberalizzazioni e digitalizzazione) il Governo ha deciso di agire in perfetta continuità con gli esecutivi precedenti, imponendo dall’alto le proprie soluzioni.

Insomma, il contrario di un metodo Open.

 

Ernesto Belisario

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