La disciplina ecommerce si applica anche al gestore di una chat

Ius On line 22/12/11
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High Court of Ireland, 18 marzo 2009

Parti: Mulvaney & Ors v. The Sporting Exchange Ltd trading as Betfair

FATTO

Nel caso di specie un soggetto affermava di essere stato diffamato all’interno di un servizio di chat offerto da Betfair, noto operatore di scommesse online.

L’attore decideva di citare in giudizio non solo gli autori materiali della diffamazione, ma altresì il gestore della chat (ossia Betfair). Era appurato, tuttavia, che nella chat-room non venivano realizzate scommesse e che, di conseguenza, si trattava di un servizio accessorio rispetto a quello principale offerto dalla società convenuta.

DECISIONE

La corte è stata chiamata, innanzi tutto, a decidere se le Regulation 2002, che hanno recepito la direttiva sul commercio elettronico, fossero applicabili a Betfair, atteso che la direttiva non abbraccia le attività di gambling. Tuttavia, si legge nella motivazione, nella fattispecie non sono implicate operazioni connesse al gioco d’azzardo, ma unicamente quelle connesse ad un servizio di comunicazione a distanza (la chat-room, per l’appunto).

Non può trovare applicazione alla fattispecie l’art. 1, par. 5, lett. d) della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, che stabilisce che le norme della direttiva stessa non coprano anche “i giochi d’azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse”.

Superato tale dubbio, la corte ha dovuto decidere se a Betfair si applicasse la norma sul caching (art. 13 della direttiva sul commercio elettronico) o quella sull’hosting (art. 14 della direttiva sul commercio elettronico).

A giudizio della decisione, quello di chatroom sarebbe un servizio rientrante nell’alveo dell’art. 14 della direttiva, conformemente a quanto affermato anche nel Report della Commissione europea al Parlamento sullo stato di attuazione della direttiva, nel quale si legge che, all’interno del servizio di hosting, rientrerebbero anche altri servizi i cui contenuti sono forniti da terzi, tra cui appunto le chatrooms e i bulletin boards (così testualmente: “In particular, the limitation on liability for hosting in Article 14 covered different scenarios in which third party content is stored apart from the hosting of websites, for example, also bulletin boards or chatrooms”).

La decisione richiama espressamente il Considerando n. 18 della direttiva, secondo cui: “I servizi della società dell’informazione abbracciano una vasta gamma di attività economiche svolte in linea (on line). Tali attività possono consistere, in particolare, nella vendita in linea di merci. Non sono contemplate attività come la consegna delle merci in quanto tale o la prestazione di servizi non in linea. Non sempre si tratta di servizi che portano a stipulare contratti in linea ma anche di servizi non remunerati dal loro destinatario, nella misura in cui costituiscono un’attività economica, come l’offerta di informazioni o comunicazioni commerciali in linea o la fornitura di strumenti per la ricerca, l’accesso e il reperimento di dati. I servizi della società dell’informazione comprendono anche la trasmissione di informazioni mediante una rete di comunicazione, la fornitura di accesso a una rete di comunicazione o lo stoccaggio di informazioni fornite da un destinatario di servizi”.

In definitiva, la corte non sembra avere dubbi in merito al fatto che i servizi di chatrooms rientrino tra i servizi della società dell’informazione, ai sensi dell’art. 2 della direttiva sul commercio elettronico e che ad essi siano estendibili le garanzie previste per gli altri ISP.

Il testo integrale della decisione è disponibile qui

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