Lettera di un pubblico dipendente a un cittadino

Luigi Oliveri 27/10/11
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Ciao.

Sono un pubblico dipendente.

Chi guida il Ministero che si cura dei dipendenti pubblici ha pensato e detto che sono un “panzone” un po’ “fannullone”, epiteto, quest’ultimo, suggeritogli anche da insigni giuslavoristi eletti in Parlamento.

Nonostante la “panza”, tuttavia sono l’ostetrica ed il ginecologo che ti ha fatto nascere.

Sono l’ufficale d’anagrafe che ti ha dato un’identità, un nome e un cognome.

Sono la “maestra” dell’asilo nido e della scuola materna che ti ha accolto, mentre i tuoi genitori non potevano prendersi cura di te.

Sono il professore che ti ha istruito dalle elementari al diploma.

Sono anche il docente universitario che ti ha fatto completare il percorso di studi, col titolo accademico.

Sono il poliziotto o il carabiniere che vigila sulla tua sicurezza e interviene per prevenire reati nei tuoi confronti o per scovare chi li ha commessi.

Sono il giudice al quale ti rivolgi per avere giustizia e difendere i tuoi diritti.

Sono il medico che ti ha curato quando sei stato male, e anche l’infermiere che si è occupato di te quando sei stato ricoverato nelle strutture sanitarie, accompagnato da me, conduttore dell’ambulanza, e da me, portantino della barella.

Sono l’addetto dei servizi per il lavoro che ti ha aiutato a cercare un nuovo impiego, l’impiegato dell’Inps che ti ha pagato l’indennità di disoccupazione.

Sono l’operaio che ha tappato quel buco pericoloso nella strada, che tu avevi segnalato.

Sono il militare che ha vigilato sulla pace, nell’interesse tuo e della Nazione.

Sono, ancora, l’impiegato che ti paga la pensione, il medico che constata il tuo decesso, il necroforo che ti seppellisce.

Sono stato, anche, l’agente di polizia municipale che ti ha sanzionato per infrazioni al codice, l’accertatore del fisco che ti ha chiesto di pagare correttamente le tasse, l’impiegato che ti ha fatto un po’ penare controllandoti e chiedendoti documenti, indispensabili, però, per assicurare il beneficio che avevi richiesto.

Non da ultimo, io insieme agli altri circa 3.400.000 dipendenti pubblici, pago interamente le tasse, che concorrono a finanziare quelle attività che io stesso svolgo nel tuo interesse.

Sono un privilegiato, si dice, perché non posso essere licenziato a causa della crisi. Accetterò, naturalmente, se il Parlamento lo deciderà, che si modifichi la normativa sul lavoro rendendo in generale più facile licenziare, estendendo anche al lavoro pubblico licenziamenti facili.

Resto, tuttavia, dell’idea che se è un problema il costo del lavoro pubblico, altrettanto vero è che se i servizi che ti accompagnano dalla culla alla tomba sono essenziali e fondamentali per il convivere civile, la strada verso il licenziamento facile e di massa dei dipendenti pubblici come me, anche solo per giustizia sociale e per parificare la posizione dei lavoratori pubblici con quelli privati, possa comportare per te cittadino, che magari in questo momento sei colpito in vario modo dalla crisi, un’accentuazione della crisi stessa: potresti dover sentire, infatti, la mia mancanza. Proprio quando, invece, avresti maggiore bisogno dei miei servigi.

Luigi Oliveri

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