Apple nel mirino dell’Antitrust

Dario Reccia 13/09/11
Scarica PDF Stampa
È recente la notizia dell’istruttoria per pratica commerciale scorretta avviata dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, meglio nota come Antitrust, nei confronti di Apple e della catena di negozi Comet.

Ancora una volta l’Antitrust torna ad occuparsi del problema relativo ai rapporti tra la garanzia legale di conformità, che fa capo per legge ai rivenditori e ed ha la durata di due anni, e quella convenzionale spesso rilasciata dai produttori, che si affianca alla prima, generando a volte confusione nella clientela sulla reale portata dei propri diritti.

Già lo scorso maggio l’Antitrust aveva chiuso l’istruttoria avviata nei confronti di 7 grandi catene di distribuzione, prendendo atto del loro impegno a rispettare la durata legale della garanzia di conformità da far valere nei confronti del venditore e a fornire un’informazione chiara sulla differenza tra garanzia legale e servizi accessori di assistenza alla clientela.

L’art. 132 del Codice del consumo prevede, infatti, che il venditore sia sempre tenuto a riparare/sostituire il bene venduto qualora lo stesso manifesti vizi o difetti entro ventiquattro mesi dalla data di acquisto, a condizione che il consumatore li abbia denunciati nei due mesi successivi alla loro scoperta.

Tale garanzia vincola il venditore in ogni caso, anche qualora le parti non l’abbiano espressamente pattuita al momento della vendita.

Succede però molto spesso che il produttore del bene, pur non avendone l’obbligo, offra al consumatore, per ragioni di marketing, compiacenza commerciale, etc…, una garanzia aggiuntiva, detta garanzia convenzionale, il cui contenuto è liberamente determinato da chi la offre, sia per quanto riguarda la durata sia con riferimento ai diritti – sostituzione, riparazione, etc… – di volta in volta riconosciuti al consumatore.

Tale garanzia, aggiungendosi alla prima senza modificarne la durata ovvero i contenuti, fa sì che il consumatore possa rivolgersi indifferentemente al venditore o al produttore in caso di acquisto di un bene difettoso; ciò non toglie, però, che il produttore, per prestare assistenza alla clientela, possa servirsi del medesimo rivenditore in forza di specifici accordi interni che non interessano – o almeno non dovrebbero interessare in alcun modo – il consumatore.

All’esito di tali accordi, tuttavia, garanzia legale e garanzia convenzionale finiscono con il confondersi, in quanto il consumatore si rivolge in ogni caso al rivenditore per ottenere la riparazione/sostituzione del bene acquistato, e ciò a prescindere dal tipo di garanzia – legale o convenzionale – che si intende far valere.

È in questo scenario che ha preso forma il caso Apple.

Quest’ultima, infatti, offre alla clientela in tutto il mondo la garanzia di un anno sui propri prodotti, dando inoltre la possibilità – ma questa volta a pagamento – di estendere tale copertura per un ulteriore lasso di tempo.

Il problema è che in Italia – ma in realtà dovremmo dire in tutti i Paesi della UE, considerato che la normativa contenuta nel Codice del consumo è di derivazione comunitaria -, trascorsi i primi dodici mesi coperti dalla garanzia Apple, continua ad operare per un altro anno quella del rivenditore, nonostante la mancata estensione a pagamento della garanzia.

Sembrerebbe, però, – ma in questo caso il condizionale è d’obbligo, considerato che allo stato circolano solo indiscrezioni sulla vicenda e l’Antitrust non si è ancora pronunciata ufficialmente sul caso – che la Comet, nel distribuire i prodotti della Apple, non sia stata alle regole del gioco ovvero, scaduta la garanzia Apple di un anno, abbia rifiutato ai propri clienti ulteriori interventi di assistenza nei successivi dodici mesi.

Stando così le cose, ci troveremmo senz’altro di fronte ad una prassi commerciale scorretta della Comet, contraria alle regole ed ai principi in materia di garanzia legale di conformità contenuti nel Codice del consumo.

Meno scontato è invece comprendere il ruolo assunto dalla Apple in questa partita.

Quella della Comet potrebbe, infatti, essere una iniziativa unilaterale fondata sull’equivoco generato nei consumatori meno avveduti dalla sovrapposizione di due garanzie con differenti termini di durata: l’errore di credere che, scaduta la garanzia del produttore, non vi sia alcuna altra forma di tutela deve essere, infatti, piuttosto frequente nei non addetti ai lavori, soprattutto in assenza di informazioni chiare da parte del rivenditore.

In questa ipotesi è comunque difficile ipotizzare una responsabilità da parte di Apple.

Tale conclusione potrebbe tuttavia mutare qualora si guardasse alla vicenda da un altro punto di vista. Apple, infatti, offre a pagamento estensioni della garanzia convenzionale sui propri prodotti: è evidente che il consumatore è tanto più disponibile ad acquistare tale pacchetto accessorio quanto più sia persuaso della breve durata della garanzia compresa nel prezzo – e, quindi, nel nostro caso un anno invece di due -.

Occorre poi considerare che il rivenditore costretto a riparare/sostituire il bene può rivalersi a sua volta sul proprio fornitore in una catena ideale che risale fino al produttore del bene, il quale, in ultima analisi, è l’unico tenuto a rispondere della difettosità dei propri prodotti. La Apple, quindi, in qualità di società produttrice, trae sempre un vantaggio dalla riduzione dei termini legali della garanzia.

Allo stato non è ancora possibile dare giudizi definitivi sulla vicenda, almeno fino a quando l’Antitrust non avrà chiarito il reale coinvolgimento di Apple e i rapporti tra quest’ultima e Comet.

In ogni caso, vicende del genere, soprattutto per la notorietà e il prestigio del marchio coinvolto, hanno sempre questo di positivo: rendere i consumatori maggiormente consapevoli dei propri diritti.

Dario Reccia
Scorza Riccio & Partners

Dario Reccia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento