La Chiesa Valdese celebra un matrimonio… religioso

Sereno Scolaro 29/06/11
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Le chiese rappresentate dalla Tavola valdese sono state la prime a stipulare un’Intesa, ai sensi dell’art. 8 Cost., con la legge 11 agosto 1984 n. 449.

L’art. 11 riguarda specificamente il matrimonio, ed inizia con la formula:

“La Repubblica italiana, attesa la pluralità dei sistemi di celebrazione cui si ispira il suo ordinamento, riconosce gli effetti civili ai matrimoni celebrati secondo le norme dell’ordinamento valdese…

Non è importante tanto il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio, quanto:

a) la constatazione della pluralità delle forme di celebrazione del matrimonio;

b) il riconoscimento che si tratta di matrimonio celebrato “secondo le norme dell’ordinamento valdese”.

Il rinvio ad altro “ordinamento” è previsione unica, non presente nelle altre Intese (solo la disciplina del matrimonio canonico contiene previsione analoga).

La chiesa valdese è stata recentemente interessata da una notizia di cronaca: domenica 26 giugno si è celebrato, a Milano un matrimonio tra persone dello stesso sesso.

La notizia non ha avuto, tutto sommato, grande eco, rimanendo confinata, al rango di mera “curiosità”, nelle riviste di gossip (quelle che si leggono dalla parrucchiera).

Ecco cosa prevedeva in materia una norma, che ha compiuto duecento anni proprio in questi giorni.

Si tratta del Codice civile “universale” (perchè valido per l’intero Impero austriaco!) proclamato a Vienna il 1° giugno 1811 da Francesco I, Imperatore d’Austria, che così prevedeva, all’articolo 62:

“§ 62.- Nel medesimo tempo l’uomo può essere unito in matrimonio soltanto ad una donna, e la donna soltanto ad un uomo. Chi avendo già contratto matrimonio volesse passare ad un secondo deve provare legalmente il pieno scioglimento del primo.”

Vi si affermavano in modo netto, due principi:

a) la monogamia,

b) la diversità di sesso degli sposi.

Il legislatore attuale non è invece altrettanto chiaro (ne hanno già parlato su queste pagine Eleonora Cannizzo e Tiziano Solignani).

Si sente dire che il matrimonio, in Italia, sarebbe solo quello definito dalla Costituzione all’art. 29; posizione che appare abbastanza preconcetta, solo se si consideri che l’art. 29 non definisce il matrimonio, ma si limita considera, riconoscendola, la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, lasciando quest’ultimo privo di definizioni di sorta.

In ogni caso, laddove la società muta, spetta al legislatore adeguarsi.

Lo stesso pastore valdese, a proposito del matrimonio celebrato il 26 giugno 2011, ha affermato che “se dovessimo seguire ancora la Bibbia senza tener conto di quando fu scritta, dovremmo praticare ancora la lapidazione dell’adultera”.

E il nostro ordinamento in effetti, fino al 1968 puniva ancora il reato di adulterio (art. 559 c.p. cancellato dalle sentenze Cost. 126/1968 e 147/1969): però solo la moglie (ed eventualmente il correo) poteva essere perseguita.

Si trattava, ovviamente, di fattispecie perseguibile a querela del marito.

L’art. 560 c.p. prevedeva, invece, il reato di concubinato; il marito era punito se teneva la concubina, in casa o “notoriamente” altrove.

Bastava dunque solo un po’ di “discrezione” per non far sorgere la responsabilità penale di lui.

Come si vede, vi era una concezione della famiglia nemmeno tanto lontana da quella tutt’ora disciplinata nella società attuale. Ora, la Chiesa Valdese ci ha dato un segnale … sta a noi decidere se raccoglierlo.

Sereno Scolaro

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