Tutela dei minori, la decisione della Corte Suprema USA sui videogiochi violenti

Redazione 29/06/11
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Era stato uno dei cavalli di battaglia dell’ex Governatore della California, l’attore di “Conan il barbaro” e di “Terminator”, Arnold Schwarzenegger: impedire l’uso dei videogiochi violenti ai minori.

La Corte Suprema degli Stati Uniti, con sentenza depositata il 27 giugno, ha, tuttavia, stabilito che:

1) Non è possibile vietare uno specifico mezzo di comunicazione violento – i videogiochi – isolandolo dagli altri.

2) Non è provato che l’utilizzo di videogiochi violenti abbia conseguenze dirette sui comportamenti sociali dei minori, ulteriori e diverse da quelle che possano derivare da qualunque altro medium (libri, fumetti, TV, cartoni animati).

3) Non è consentito vietare l’uso di videogiochi violenti, anche contro la volontà dei genitori che ritengano invece di autorizzare i propri figli minori ad usarli.

Pubblichiamo, di seguito, alcuni passi dall’abstract fornito dalla stessa Corte, nonché la parte finale della sentenza.

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Corte Suprema degli Stati Uniti

Sentenza del 27 giugno 2011

Stato della California contro Associazione delle industrie dell’intrattenimento

1. Dall’abstract messo a disposizione dalla Corte

“… Gli appellati rappresentano le industrie di videogiochi e software e contestano una legge della California che intendeva limitare la vendita o il noleggio di videogiochi violenti ai minori.

La Corte federale distrettuale ha già concluso nel senso che la legge viola il primo emendamento della Costituzione e ne ha vietato l’applicazione.

La Corte Suprema conferma: la legge viola il Primo Emendamento.

(a) I videogiochi beneficiano della protezione del Primo Emendamento.

Come i libri, i giochi ed i film, i videogiochi comunicano idee attraverso dispositivi familiari e modalità tipiche dello specifico medium.

Ed i principi fondamentali della libertà di parola non cambiano, in presenza di un mezzo di comunicazione (il videogioco), nuovo e diverso.

(b) Poiché la legge in esame impone una restrizione su contenuti protetti dal Primo Emendamento, essa è valida solo se la California è in grado di dimostrare che è giustificata da un interesse superiore e – soprattutto – che sia idonea allo scopo

Gli studi psicologici su rapporti tra esposizione ai videogiochi violenti ed effetti dannosi sui bambini, non provano che tale esposizione spinga effettivamente i minori ad agire in modo aggressivo.

Tutti gli effetti dimostrati sono minimi e indistinguibili dagli effetti prodotti da qualunque altro medium.

Dal momento che la California ha scelto di non limitare gli altri media (ad esempio, i cartoni animati violenti), il suo regolamento sui videogiochi è esageratamente restrittivo, sollevando seri dubbi sul fatto lo Stato persegua realmente l’interesse che invoca o invece intenda semplicemente ostacolare uno specifico medium.

La California, inoltre, non dimostra che le restrizioni contenuta nella legge soddisfino l’esigenza dei genitori di limitare l’accesso dei propri figli ai video violenti.

Ciò perchè, l’attuale sistema di classificazione volontaria, nel settore dei videogiochi, già realizza tale scopo, risultando un mezzo idoneo ad aiutare i genitori nel controllo sui videogiochi utilizzati dai figli minori.

La legge, inoltre, ha una portata applicativa troppo ampia, dal momento che non tutti i minori, a cui si vorrebbe vietare l’acquisto di videogiochi violenti, hanno genitori che disapprovano tale mezzo di divertimento …”

2. La parte finale della sentenza della Corte Suprema

(…)

“Lo sforzo della California di regolare i videogiochi violenti è l’ultimo episodio di una lunga serie di tentativi falliti di vietare ai minori l’intrattenimento violento.

Abbiamo già evidenziato che alcune delle prove portate avanti per sostenere la dannosità dei videogiochi sono poco convincenti, anche se non si intende ignorare o sminuire le preoccupazioni che stanno alla base del tentativo di regolamentarli, nonchè le esigenze di sicurezza dei genitori che spingono verso forme di “parental controll”.

In altri termini, non abbiamo motivo di giudicare o censurare il modello culturale portato avanti dalla California, secondo cui i videogiochi violenti (o qualsiasi altra forma di comunicazione violenta) possano influenzare i giovani od ostacolare il loro sviluppo morale.

Il nostro compito, in questa sede, è solo quello di stabilire se tali opere [i videogiochi] possano costituire un ben definito e circoscritto ambito di comunicazione, tale da imporre un’apposita disciplina restrittiva nell’uso, in deroga ai principi costituzionali.

In altri termini, occorre stabilire se la regolamentazione -separata e diversificata destinata a tali opere- sia giustificata da una specifica necessità.

Ciò perchè, anche nei casi in cui si discute di protezione di bambini, i limiti costituzionali all’azione governativa rimangono sempre applicabili.

E la legge della California prova in effetti ad affrontare un serio problema sociale, aiutando i genitori interessati a controllare i propri figli.

Tali finalità sono legittime, ma colpiscono diritti sanciti dal Primo Emendamento, che può essere derogato con mezzi che non risultino eccessivi, sia per il loro ambito di applicazione ristretto ad uno specifico medium, sia per la loro portata, generale ed indiscriminata, a prescindere dalla volontà di censura dei genitori interessati.

In definitiva, come mezzo per proteggere i bambini da rappresentazioni di violenza, la legge ha un ambito di applicazione eccessivamente ristretto, perché intende regolamentare (solo) le rappresentazioni dai videogiochi.

E, come mezzo per aiutare i genitori interessati, è viceversa seriamente sovradimensionata, perché limita i diritti del Primo Emendamento anche a quei giovani i cui genitori pensano che i videogiochi violenti siano (solo) un passatempo innocuo.

Ovviamente, il descritto sottodimensionamento nel raggiungimento dello scopo (solo videogiochi) non è compensabile dal sovradimensionamento nel raggiungimento degli altri (l’aiuto non richiesto ai genitori contrari ai videogiochi).

Legislazione di questo tipo, che non è “né carne né pesce”, non può dunque sopravvivere ad un controllo rigoroso.

Questo è il giudizio della Corte.”

Redazione

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