Il particolare fardello della giustizia amministrativa

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Oggi chi presenti un ricorso in materia di appalti, anche per importi modestissimi, è tenuto al versamento di un contributo unificato pari a duemila euro, analogo versamento (altre duemila euro) occorre poi effettuare laddove sia necessario presentare motivi aggiunti di ricorso.

Si parla dell’art. 13, comma 3, del D.lgs. n. 53/2010 che ha modificato l’art. 13, comma 6-bis del d.P.R. n. 115/2002 del 30 Maggio 2002, in forza della quale la misura del contributo unificato in materia di affidamento di lavori, servizi e forniture per ciascun ricorso, compresi quelli per motivi aggiunti e quelli incidentali contenenti domande nuove, è stata raddoppiata (portandola agli attuali duemila euro) rispetto alla precedente misura (già rilevante).

Si tratta dunque di previsione occasionata dal recepimento della Direttiva Ricorsi 2007/66/CE (previsione ora confermata dal nuovo codice del processo amministrativo).

Il contributo unificato, vale a dire “quella peculiare tassa dovuta dai soggetti in forza di una esigenza giurisdizionale ovvero di un’attività pubblica richiesta allo Stato”, è così divenuto, in tema di appalti pubblici, l’irragionevole richiesta “fiscale” avanzata allo Stato, al di là del valore e della rilevanza della causa.

Ed infatti, prevedere che l’attore (e quindi normalmente l’impresa), al momento dell’iscrizione della causa versi integralmente duemila euro a titolo di contributo unificato in forza della mera proposizione del ricorso, a prescindere da qualunque meccanismo di valutazione della colpa e dell’interesse pubblico sotteso allo svolgimento dei servizi e dei lavori oggetto della procedura ad evidenza pubblica, la dice tutta sulla non felice e discriminante scelta effettuata dal legislatore.

Addebitare al ricorrente un costo -totalmente anticipato- solo perché esercita una legittima facoltà riconosciuta dalla Costituzione, e indipendentemente dalle vicende processuali e dal valore della controversia significa, in altri termini, considerare l’oggetto “appalti pubblici”, indice di ricchezza e forza economica che merita (“a prescindere”, direbbe Totò) di essere tassata maggiormente, senza che rilevi l’effettivo valore della controversia.

Che questo meccanismo sia del tutto inadeguato è presto detto!  Esso limita l’esercizio del diritto di difesa, tutelato  dalla Costituzione, ma sacrifica lo stesso interesse pubblico per cui si richiede tutela.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6- bis , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 1, comma 1307, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in riferimento agli artt. 3, 81, terzo comma, e 97 Cost., “in quanto stabilisce nella misura fissa di duemila euro il contributo unificato per i ricorsi innanzi al giudice amministrativo in materia di affidamento di lavori, forniture e servizi pubblici nonché avverso atti delle autorità amministrative indipendenti”, è stata già una prima volta sollevata davanti alla Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale, con ordinanza numero 164 del 2010, si è limitata a dichiararne l’inammissibilità nel caso concreto, perchè la motivazione sulla non manifesta infondatezza era nella specie insufficiente, “non avendo il rimettente effettuato una ricostruzione completa delle vicende legislative della norma de qua, modificata più volte”.

Ha inoltre osservato che, la richiesta di una pronuncia puramente caducatoria avrebbe determinato solo la reviviscenza del previgente sistema di determinazione del contributo, ancorato al valore della controversia, e ciò in palese contraddizione rispetto alle doglianze contenute nell’atto di promovimento, le quali erano invece incentrate sull’eccessiva misura della tariffa in materia di lavori, servizi e forniture pubblici.

Inoltre, la questione è apparsa inammissibile per la pluralità delle soluzioni che possono essere offerte dal legislatore in una materia, quale quella della determinazione delle spese processuali poste a carico degli utenti della giustizia, nella quale vige il principio della sua discrezionalità e dell’insindacabilità delle opzioni legislative che non siano caratterizzate da una manifesta irragionevolezza.

Tuttavia, malgrado la pronuncia in oggetto, resta auspicabile un ripensamento della Corte, considerando che nel nostro sistema fiscale le imposte se per un verso assolvono una funzione solidaristica, in forza della quale tutti i consociati concorrono alle spese pubbliche, dall’altro tale funzione è sempre circoscritta alla capacità contributiva di ognuno.

Coerentemente ai principi di uguaglianza sanciti dall’articolo 3  della Costituzione, il sistema fiscale è informato ai principi di progressività, di guisa che l’incidenza del prelievo cresce con l’aumentare della ricchezza sulla cui base il prelievo stesso è imposto.

Pertanto, il quesito che ci si deve porre è il seguente: “è legittima la previsione di un contributo unificato che in maniera del tutto indipendentemente dai principi di progressività grava solo per l’oggetto della causa, e a prescindere dal valore della stessa?

Salvatore Gallo

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