Terza età e tutela penale

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Ho sempre amato bambini, animali, poveri e vecchi. In realtà, io odio e rifuggo la stessa parola, vecchio. Mio padre e mia madre non sono vecchi, ma semplicemente di mezza età; il mio cavallo è adulto; il mio cane è non più giovanissimo; mio nonno è anziano.

Non è la leziosa perifrasi di chi, per descrivere connotati individuali spesso involgariti da un lessico sgradevole, si compiace utilizzare nuovi idiomi e terminologie – operatore ecologico, colf, diversamente abile, non vedente, non udente, etc. etc. etc. E’ l’amore di una madre che preferisce definire la figlia bruttina: simpatica

Il problema è che i vecchi purtroppo esistono, e vanno tutelati – come i bambini, come i minori, come i malati – più di qualsiasi altro comune cittadino. Perché se è vero che la legge è uguale per tutti, è altrettanto certo che il “tutti” è relativo, e che la legge deve essere più forte, dura, incisiva e repressiva in favore di chi ha le difese personali abbassate.

Il diritto penale – questo, almeno, io credo – è anche morale e modello di giusti valori, di basilari principi etici, di saggezza giuridica.

Le radici del codice penale italiano sono soprattutto queste. Antiche, profonde, il nostro valore aggiunto rispetto all’”efficientissimo” diritto anglosassone, tanto pragmaticamente esaustivo quanto filosoficamente poco attento ad una morale giuridica regolata secondo gli schemi di una architettura formalmente geometrica e concettualmente garantista. Di testi legislativi giuridicamente raffinati come il nostro Codice Rocco non ce ne sono tanti nel mondo….

Noi siamo i figli di Aristotele e della sua Etica Nicomachea, della giustizia intesa come virtù intera e perfetta, come equità e rettificazione della legge là dove questa si riveli insufficiente per il suo carattere universale, come correzione che ha il compito di riequilibrare i vantaggi e gli svantaggi esistenti tra gli uomini.

A volte – oggi troppo frequentemente – lo si dimentica e ci si affanna ad emettere leggi con un solo articolo e 700 commi (orrenda antitesi al più elementare degli ordini mentali), o elefantiache riforme legislative totalmente scisse dalle strutture codicistiche fondamentali, cani sciolti portatori di norme raccattate alla rinfusa a destra e a manca.

…. ma altre volte – le anime dei nostri avi giuristi che ci tirano le orecchie negli incubi notturni – anche il superficiale Legislatore dei nostri ultimi e confusi anni ha buona memoria e ritorna agli originari ceppi etici.

Con L. 15 luglio 2009 n. 94, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, è stato ritoccato l’art. 61 del codice penale, che prevede le circostanze generali aggravanti del reato.

La modifica di natura integrativa ha riguardato il n. 5 dell’art. 61, ed in particolare l’inserimento ex novo della circostanza di approfittamento dell’età, oltre quella del tempo, del luogo e della persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, da sempre inclusi nella fattispecie.

L’inciso normativo previsto dalla 94/09 è esattamente: ”anche in riferimento all’età”.

Una integrazione di sole cinque parole. Ma, cinque parole che aggiungono una piattaforma di cemento armato alla difesa in favore degli anziani.

Cinque parole che valgono cinque mesi o cinque anni di pena detentiva aggiuntiva.

Cinque parole che permettono di dare una mazzata supplementare ai “giovani” che si approfittano dell’età matura di una persona.

Cinque parole che pesano esattamente un terzo di carcere in più.

Prima di questa introduzione normativa, l’unica fattispecie di reato che consentiva di salvaguardare l’anziano dai delinquenti approfittatori era la circonvenzione di incapace di cui all’art. 643, che punisce “chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto …. abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso”.

Tuttavia la norma, seppur interpretata dalla giurisprudenza in modo tendenzialmente estensivo – dando, ad esempio, rilevanza allo “stato di solitudine di una persona psicologicamente fragile” (Cass., Sez. II, 11.2.2010, n. 18158), o a situazioni genericamente definibili “come complesso della samaritana o passione incontrollabile e inconfessabile” (Cass., Sez. II, 23.4.2009 m. 18644), o a “qualsiasi minorazione della sfera volitiva e intellettiva, che renda facile la suggestionabilità della vittima e ne diminuisca i poteri di difesa contro le insidie altrui” (Cass., Sez. II, 23.1.2009, n. 17415) – rientra nell’ambito dei “Delitti contro il patrimonio”, in relazione ai quali è necessario individuare con precisione un atto patrimoniale dispositivo ed un evento di danno.

Rimaneva un evidente buco sanzionatorio per altri tipi di delitti, peraltro di maggiore gravità, come quelli che presuppongono una condotta di violenza, fisica e/o psichica.

L’esempio vivente dell’importanza della riparazione operata dal neo art. 61 n. 5 c.p. ha un nome ed un cognome: Osvaldo Renzelli.

Ero al mare quando ho sentito pulsarmi dentro il disgusto per quell’episodio vergognoso, filmato e messa in onda da tutti i telegiornali nazionali, accaduto a Cosenza lo scorso 21 agosto 2010. Un autista di autobus, appunto Osvaldo Renzelli – mi piace ripetere il nome di questo “galantuomo”, per tenerlo bene a mente e sperare che l’onda di inciviltà affine a questa persona possa un giorno essere definitivamente spezzata – a causa di un diverbio provocato da futili motivi ha violentemente aggredito un passeggero di 78 anni e, non appena sceso dal mezzo, lo ha buttato a terra sul marciapiede e gli ha fratturato mandibola, zigomo e polso.

Ecco, prima di questa provvidenziale modifica dell’art. 61 n. 5 del codice penale, al nostro conducente di autobus sarebbe toccato – con giustificata ribellione di giovani e vecchi moralmente educati – lo stesso trattamento sanzionatorio di chi alza le mani contro un coetaneo, si spera maggiormente in grado di rispondere “a tono”…

Oggi, per fortuna, la Corte di Cassazione ha le armi giuridiche per bacchettare a dovere i giudici di merito che non prendono in debita considerazione l’età senile e le sue fragilità. E’ ciò che ha fatto con estremo garbo e saggezza la II Sezione Penale della Suprema Corte nella sentenza n. 35997, emessa il  23 settembre 2010 (dep. 7 ottobre 2010).

Il caso di specie è certamente meno disdicevole di quello cosentino, si discute di una condotta truffaldina ai danni di signore dai 64 agli 84 anni, irretite per strada e “convinte” a versare cospicue somme di denaro in vista di ipotetici progetti di beneficenza.

Al Tribunale del Riesame – che aveva escluso l’aggravante richiesta dal Pubblico Ministero sul presupposto che, in base ai tradizionali criteri di giudizio utilizzati in materia, non sarebbe emersa alcuna situazione di deficienza fisica o psichica delle persone offese tale da poterle ritenere menomate nella loro sfera volitiva – il Giudice di Legittimità ha così risposto: “A seguito della l. 15.7.2009 ……l’avere approfittato di circostanze di tempo, di luogo, o di persone tali ostacolare la pubblica o privata difesa deve essere deve essere specificamente valutato anche in specifica relazione all’età senile della persona offesa avendo voluto il Legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolate vulnerabilità della quale l’agente trae particolare vantaggio. Va accertato, nel caso di reati commessi in danno di persone anziane, se si sia in presenza di una situazione di una complessiva situazione di approfittamento della particolare vulnerabilità emotiva e psicologica propria dell’età senile. Occorre pertanto verificare se… si sia in presenza della menomazione della capacità di percezione e di correlativa reazione e contrasto della reazione antigiuridica da parte della vittima anziana persona offesa…verificando se vi fosse una diminuzione dell’apprezzamento critico della realtà e una menomata capacità di reazione alla condotta antigiuridica…”.

E’ un accertamento valutativo discrezionale, individualizzato, che va effettuato sulla base di tutte le singole e specifiche connotazioni del fatto storico.

Non potrebbe essere altrimenti posto che l’età senile non è agganciabile ad un preciso anno della vita umana come avviene per i minori (considerati inderogabilmente tali anche se più maturi della loro età anagrafica), e deve invece essere verificata e giudicata – così com’è giusto che sia – volta per volta. L’età senile ma soprattutto la sua fragilità e le sue debolezze.

Ritornano i consigli del buon Aristotele, la giustizia del caso concreto come equità, l’equità come possibile correzione dell’insufficienza della legge universale, la saggezza e l’ equità non necessariamente sovrapponibili a giustizia astratta e formale.

… la realtà, purtroppo, è assai meno filosofica…

L’altro giorno ho visto un giovinastro che dava una spinta ad un pensionato, in fila alla Posta per ritirare la pensione, e lo ingiuriava perché a suo dire lo aveva scavalcato nel turno. Non era vero, il signore era stato attentissimo a rispettare la fila. Lo avevano visto tutti.

Mi sono avvicinata al ragazzotto – qualche spanna e qualche chilo più di me – gli ho dato la stessa identica manata sulla spalla che lui aveva assestato all’anziana persona; quindi ho messo a fuoco mnemonico il più aspro degli epiteti sentiti nelle gabbie degli imputati, una delle calde udienze di luglio in cui la temperatura bollente agevola la caduta dei freni inibitori.

Poco importa che abbia peccato di signorilità, ma che il bellimbusto abbia guadagnato l’uscita tra gli insulti di tutti, confortati e sobillati dalla mia reazione, questo sì che deve farci riflettere.

Non possiamo sempre aspettare i processi, è giusto che le piccole cose della vita quotidiana siano affrontate “ caldo”, con coraggio, da tutti noi presi per mano. Perché il contagio non è solo quello del male …

Franzina Bilardo

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