La liquidazione d’ufficio delle spese e le conseguenze sul professionista

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“Con vittoria di spese e compensi” questa la frase conclusiva della maggior parte degli atti redatti durante l’attività forense. Frase nella quale si racchiude l’affidare al Giudice la comprensione e valutazione dell’operato del legale. Spesso, tale compito, si facilita depositando separata notula ove vengono specificate tutte le voci relative a competenze, onorari, spese vive e quant’altro. Ma nel caso in cui nulla venga specificato, od ancora ove si agisca contro il proprio cliente ex L.794/42, il Decidente può ex officio liquidare le spese processuali in toto comprendendo anche le spese generali o forfetarie?

Un avvocato non sottrarrebbe di certo un così “importante” potere a colui che deciderà delle sorti del proprio lavoro, ma per quanto possa sembrare argomento scontato così non risulta esser stato nella giurisprudenza di legittimità che è tornata sul punto recentemente per nulla favorendo la posizione del legale.

Occorre ricordare che con Decreto Ministeriale 127/2004 sono state approvate le nuove tariffe forensi che all’art. 14 prevedono: “All’avvocato ed al praticante autorizzato al patrocinio è dovuto un rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 12,50% sull’importo degli onorari e dei diritti ripetibile dal soccombente”.

Valutato quanto sin qui riportato è opportuno distinguere la condanna alle spese processuali in seno ad un diverso procedimento dal caso di richiesta diretta al cliente di quanto dovuto per le proprie attività processuali ex L. 794/42.

Nel primo caso, seppur con i dovuti contrasti di opinioni, sembrerebbe dovuta la condanna ai danni di parte soccombente delle spese processuali comprensive delle spese generali così come previste nelle tariffe forensi. Ciò in quanto il regolamento di dette spese è conseguenziale ed accessorio alla definizione del giudizio consentendo, per ciò solo, di porre a carico della parte soccombente le stesse anche se non espressamente richieste. Secondo tale ricostruzione giuridica ove il Giudice non statuisca in merito alle spese processuali in toto, integrerebbe vizio di omissione di pronuncia. (http://foroeuropeo.it/sen/cas/02/11654)

Diversa appare invece la posizione in seno al procedimento di richiesta ex L.794/42 ove i poteri del Giudice risultano meno ampi o quantomeno dissimili nel raggio d’azione. Si sostiene infatti che la liquidazione ex officio del rimborso forfetario, senza esplicita richiesta da parte dell’avvocato, giungerebbe a ledere i principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex artt. 99 e 112 c.p.c. Di codesto avviso la Corte di Cassazione sez. II Civ. con sent. 24081/2010 che rigetta il ricorso di un professionista, vistosi negare la corresponsione delle somme di cui all’art. 14 D.M. n° 127 dello 08.04.2004, contrapponendosi a precedenti pronunce che riconoscevano un automatismo tra spese giudiziali e spese generali con un rapporto nucleare delle stesse.

L’analisi della pronunzia con riferimento agli art. 99 e 112 c.p.c. non risulta assolutamente illogica soprattutto se calata nella complessità del convincimento al quale si affidano i Giudici di legittimità. Questi ultimi non rinnegano aprioristicamente il potere officioso della liquidazione, bensì lo ammettono in tutte le procedure ordinarie ove il soccombente di un procedimento è tenuto a corrispondere alla parte vittoriosa le spese giudiziali affrontate; ma nel caso in cui sia il legale ad instaurare un giudizio al fine di ottenere la liquidazione di quanto dovuto, lo stesso viene valutato alla medesima stregua della parte di una causa la quale ha l’obbligo di esplicare tutte le proprie richieste in seno all’atto previsto non potendosi di poi il Giudice discostare dalla corrispondenza tra quanto chiesto e la pronuncia da emettersi.

La correttezza del percorso logico effettuato non determina di contro, come sostenuto anche da alcuni commentatori, la condivisibilità dello stesso. Applicando il ragionamento operato dalla Cassazione si giungerebbe alla conclusione che in alcuni casi il giudice ha potere di ingerire autonomamente nella quantificazione e conseguente liquidazione; in altri casi del tutto simili no, così determinando una disorganicità delle procedure che invero si auspica sempre possano diventare più omogenee a vantaggio dell’economicità e trasparenza della giustizia. A ciò si aggiunga che il percorso logico seguito omette di valutare con l’importanza dovuta l’accessorietà delle spese generali rispetto alle spettanze professionali; se così è, infatti, la domanda di corresponsione delle seconde dovrebbe racchiudere in se anche le prime, non essendo queste ultime suscettibili di esistenza autonoma ex se.

Il ragionamento e le conclusioni a cui si perviene con la sentenza n° 24081/2010 potrebbero più avanti essere anche valutate in modo tale da allargare a tutti i procedimenti l’obbligo di espressa richiesta con specifica delle voci, causando come ovvia conseguenza la mancata condanna alla corresponsione. In evenienze simili, ove il professionista ne abbia interesse, si instaureranno dei procedimenti ad hoc al fine di recuperare quanto di legittima spettanza che porterebbero ad un inutile appesantimento temporale ed economico ai danni dell’apparato Giustizia che non è di certo conosciuto per la Sua celerità ed efficienza.

In conclusione dunque per quanto si confidi nel buon senso degli Organi Giudicanti e nella correttezza dei principi giuridici che si sostengono, stante l’incertezza che connota il lavoro del Giurista, ritengo che a titolo “precauzionale” sia sempre meglio abundare quam deficere.

Antonella Gubernale

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