Assegno di divorzio: per la Cassazione non conta più il tenore di vita

Assegno di divorzio: con una storica sentenza la Cassazione afferma che non conta più il tenore di vita in costanza di matrimonio.

Redazione 11/05/17
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Importantissima rivoluzione nel diritto di famiglia e nella definizione dell’assegno di divorzio: da oggi per determinare la somma da corrispondere all’ex coniuge non si dovrà più tenere conto del tenore di vita avuto in costanza di matrimonio. Lo ha deciso ieri la prima sezione civile della Corte di Cassazione, con la storica sentenza n. 11504/2017.

Con questa pronuncia la Suprema Corte muta completamente un indirizzo giuridico che si era affermato da ben ventisette anni, affermando che per determinare l’assegno divorzile bisognerà fare affidamento in primo luogo al criterio dell’indipendenza economica. Vediamo allora cosa che cambierà per tutti per effetto della sentenza.

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Cassazione: assegno divorzile solo in mancanza di mezzi adeguati

La sentenza di ieri della Cassazione, giudicando sul caso dell’ex moglie di un ex ministro e ponendosi in netto contrasto con l’orientamento prevalente, ha affermato chiaramente che alla donna non spetta l’assegno di divorzio in quanto perfettamente in grado di raggiungere i mezzi adeguati all’indipendenza economica con le proprie forze.

A nulla è dunque valso il ricorso dell’ex moglie: il mantenimento del tenore di vita “analogo a quello avuto in costanza di matrimonio“, che fin dal 1990 era stato il criterio ultimo per la determinazione dell’assegno in caso di divorzio, non vale più. E la Cassazione afferma questo principio proprio in base a un’attenta lettura del testo della legge sul divorzio.

L’assegno di divorzio non può essere automatico

La legge sul divorzio e sull’assegno divorzile (L. n. 898/1970, poi modificata dalla L. n. 74/1987), come rilevato dalla Cassazione, presenta in realtà due fasi ben distinte nella determinazione della somma da dare all’ex coniuge. In primo luogo deve essere stabilito di caso in caso se il diritto all’assegno può essere riconosciuto, e solo in un secondo momento si può determinare l’effettivo importo di tale somma.

Il comma 6 dell’art. 5 della L. n. 898/1970 stabilisce infatti che il coniuge può essere obbligato a somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno “quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli“. A causa dell’apparente vaghezza di questa affermazione, da quasi trent’anni i “mezzi adeguati” erano stati identificati con un tenore di vita analogo a quello che si aveva durante il matrimonio. La Cassazione ha desso stabilito che tale interpretazione è erronea perché confonde il vecchio status dei due coniugi durante il matrimonio (che invece, per l’appunto, è terminato) con la loro nuova condizione di cittadini singoli.

La nuova concezione del matrimonio e del divorzio

Quella che emerge dalla sentenza di ieri è una concezione completamente nuova dell’istituto del matrimonio e della sua fine con il divorzio.

La Cassazione, come si può leggere nella sentenza, prende definitivamente atto che “è ormai generalmente condiviso nel costume sociale” il significato del matrimonio come “atto di libertà e di autoresponsabilità” oltre che come effettiva comunione di vita eventualmente dissolubile. Questo vuol dire che il cittadino che decide di sposarsi e poi di divorziare lo fa con la consapevolezza di tutte le conseguenze sociali ed economiche che tali atti possono portare.

Le norme che procrastinano a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economici contratti con il matrimonio favoriscono quindi il formarsi di rendite parassitarie e ostacolano la costituzione di eventuali nuove famiglie.

Le conseguenze di una tale pronuncia, per chi si posa e per chi ha deciso di divorziare, non tarderanno a farsi sentire.

 

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