Referendum Jobs Act: perché non si farà. Decreto voucher e…Renzi

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Il referendum sul Jobs Act si terrà il prossimo 28 maggio 2017. O forse no? Secondo quanto trapela dai corridoi di palazzo Chigi, il governo sarebbe già pronto con un decreto correttivo in materia di voucher per i lavoratori, tale da rendere nullo il quesito già approvato.

Se davvero venisse realizzata questa inversione a U, ci troveremmo di fronte al primo caso nella storia repubblicana in cui una consultazione popolare viene prima indetta e poi, nell’arco di pochissime ore, ritirata dallo stesso esecutivo.

Era stato il Consiglio dei ministri, infatti, a rendere pubblica la decisione di chiamare i cittadini al voto sui quesiti proposti dalla Cgil per il prossimo 28 maggio. Una data che ad alcuni aveva fatto storcere il naso, poiché, nei due mesi disponibili per lo svolgimento, si era optato per una domenica di tarda primavera, quando in molte regioni del centro-sud il clima potrebbe già essere balneare, mettendo di fatto in serio pericolo il raggiungimento del quorum. Nessuno, infatti, ha mai dimenticato l’eterno monito craxiano ad “andare al mare”…ma il governo, a quanto pare, non si fida. Il possibile tam tam mediatico nei prossimi mesi, specie di partiti come il MoVimento 5 Stelle o dei fuoriusciti Pd Bersani e D’Alema, potrebbe suscitare una forte attenzione sulla tematica dei buoni Inps, da portare ai seggi un numero superiore alla maggioranza degli elettori.

Il decreto voucher e le tappe per l’annullamento

Ecco perché la questione potrebbe essere affrontata alla radice: secondo quanto dichiarato dal ministro Giuliano Poletti ieri a SkyTG24, infatti, sarebbe allo studio un nuovo provvedimento che andrebbe a regolamentare la pratica dei voucher, secondo quali direttive specifiche ancora non è dato sapere.

Indubbiamente, il governo non ha alcuna intenzione di imbarcarsi nell’avventura referendaria in difesa di un pacchetto a dir poco controverso come il Jobs Act, e men che meno il padre spirituale della riforma, Matteo Renzi, auspica un nuovo fronte alle urne su cui esporsi in prima persona. Se davvero i cittadini dovessero esprimersi sui quesiti proposti dalla Cgil, infatti, ciò avverrebbe a poche settimane dalle primarie Pd per eleggere il neo segretario, in programma per il 30 aprile. Segno che, ovviamente, l’intero dibattito congressuale andrebbe a imperniarsi attorno al tema oggetto del referendum, un fianco su cui l’ex premier teme di prendere qualche colpo difficile da assorbire. Non è un caso, infatti, se il principale sfidante di Renzi alla segreteria, il governatore della Puglia Michele Emiliano, si sia già apertamente schierato per l’abrogazione della legge vigente, attaccando duramente anche le modifiche apportate all’articolo 18 dal precedente esecutivo.

E ancora meno il presidente del Consiglio in carica Paolo Gentiloni ha intenzione di concentrare i suoi sforzi su questa battaglia, dato l’orizzonte molto limitato su cui si trova ad operare – scadenza legislatura 2018 – ma soprattutto il rapporto molto stretto che lo lega allo stesso Renzi, raggiunto nei giorni scorsi alla kermesse del Lingotto in apertura di campagna congressuale.

Insomma, le condizioni politiche perché il referendum salti ci sono davvero tutte. Ora bisogna valutare se sussisteranno quelle di tipo più procedurale: per arrivare alla cancellazione, infatti, non basterà l’emanazione del decreto correttivo, ma quest’ultimo dovrà essere convertito a passo spedito dalle due Camere, perché poi toccherebbe alla Cassazione definire l’annullamento del voto.

Insomma, un cammino a tappe forzate che spiega l’improvvisa fretta con cui, oggi, il ministro Poletti annuncia l’arrivo di un decreto, invocato per mesi da lavoratori e parti sociali, ma ignorato fino all’ultimo momento dai governanti.

Francesco Maltoni

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