Perché serviva una consultazione sulle consultazioni

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«Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti.»

Così si apre l’art. 21 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che, di fatto, sancisce il diritto di ciascun individuo a vivere in una democrazia. E un Paese può definirsi tale solo se consente a tutti i cittadini di partecipare alle scelte.

Facile a dirsi, teoricamente.

Ma come si partecipa al governo del proprio paese?

Naturalmente, nel 1948, era già lontana l’epoca delle “agorà”, comunità piuttosto ristrette in cui era possibile che ciascuno potesse prendere parte direttamente al processo decisionale. In difetto di strumenti che consentissero di consultare i cittadini sulle scelte più importanti, l’unico metodo possibile era quello che consisteva nella delega ai propri rappresentanti. E così è stato per molti decenni: eccezion fatta per i referendum, l’unica modalità di partecipazione alla vita democratica era rappresentata dalla possibilità di scegliere i propri rappresentanti in libere elezioni.

La storia recente dimostra come questo tipo di democrazia rappresentativa, in cui la partecipazione viene relegata al recinto delle elezioni, ha fallito. Non solo perché non ha consentito la creazione di un rapporto fiduciario tra rappresentanti e rappresentati, ma anche perché non è riuscito a fornire risposte efficaci ai problemi della collettività.

La partecipazione delle persone alla vita delle comunità e il loro diretto coinvolgimento nelle scelte della comunità rappresenta una delle possibili soluzioni alla evidente crisi della democrazia.

Una partecipazione finalmente possibile grazie ad Internet, mezzo formidabile che abilita la condivisione, la conoscenza, la trasparenza e – quindi – la possibilità per ciascuno di contribuire con le proprie idee e le proprie proposte.

Anche il legislatore si accorge ben presto che le tecnologie possono garantire effettività a quei diritti di partecipazione che – troppo spesso – sono rimasti solo un vuoto principio.

Il Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005) dedica alla “partecipazione democratica elettronica” una specifica disposizione.

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Si tratta dell’articolo 9, disposizione che rientra nell’ambito dei diritti digitali dei cittadini e delle imprese.

La norma – così come modificata dal Decreto Legislativo n. 179/2016 – prevede che le amministrazioni debbano favorire ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere “una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili e migliorare la qualità dei propri atti, anche attraverso l’utilizzo, ove previsto e nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, di forme di consultazione preventiva per via telematica sugli schemi di atto da adottare”.

In base al CAD, quindi, ciascuna amministrazione deve quindi consentire ai cittadini di dire la propria quantomeno sugli schemi di atto, prima della loro adozione. Lo scopo della norma è chiaro: dare ai cittadini la possibilità di migliorare la qualità delle scelte pubbliche e di indicare ai decisori quali sono le priorità di azione.

La consultazione pubblica telematica, infatti, è un’attività di ascolto che ha la finalità di acquisire pareri e osservazioni da parte della cittadinanza.

La consultazione non è “democrazia diretta”, in quanto con essa non si delega la scelta ai cittadini. Al contrario, la consultazione valorizza il ruolo del decisore che – decidendo quali osservazioni recepire e quali rigettare – assume pubblica responsabilità delle proprie scelte.

Ma come si conduce una consultazione?

Attenzione: non sto parlando dello strumento tecnologico. Certo, la scelta della piattaforma giusta aiuta sicuramente, ma la vera differenza tra le consultazioni che riescono e quelle che falliscono la fa soltanto il metodo.

Negli ultimi anni, infatti, le consultazioni aperte da soggetti pubblici sui propri siti web istituzionali si sono moltiplicate. Tuttavia, i risultati a cui hanno portato queste consultazioni sono stati di gran lunga al di sotto delle aspettative: sia sotto il profilo della qualità delle decisioni sia sotto quello della qualità della vita democratica.

Se è vero che soltanto l’inclusione dei cittadini nei processi decisionali può aiutare a combattere la crisi delle nostre democrazie, è altrettanto vero che il ricorso confuso a iniziative di partecipazione (non sorretto da un metodo adeguato e da una sincera volontà di ascolto) può ulteriormente minare il già fragile e compromesso rapporto di fiducia tra governanti e governati.

Il terzo piano di azione italiano per l’open government

Per questo motivo, nell’ambito del terzo piano di azione italiano per l’open government, è stata prevista un’azione che consiste nella predisposizione (da parte del Dipartimento della funzione pubblica) di Linee guida su come ci conducono le consultazioni.

Non si tratta di documento rigidamente prescrittivo, dal momento che le tipologie di consultazioni possono essere molto diverse tra loro per numero degli utenti coinvolti (basti pensare alla differenza tra una consultazione avviata dal governo rispetto a quella di un piccolo comune), dall’oggetto dell’iniziativa (che può spaziare dalla raccolta di commenti ad una bozza di atto normativo alla definizione delle priorità di azione dell’amministrazione) agli strumenti utilizzati per la stessa (solo telematica oppure anche attraverso incontri in presenza con i cittadini).

L’obiettivo, sicuramente ambizioso, è quello di fornire i principi generali affinché i percorsi di consultazione siano in grado di condurre a decisioni informate e di qualità e siano il più possibile inclusivi, trasparenti ed efficaci.

I nove principi quadro

Nove principi che – una volta condivisi – possano diventare un quadro chiaro in cui i cittadini si orientino facilmente e che le amministrazioni possano utilizzare come checklist per condurre consultazioni efficaci.

  1. Impegno

L’apertura di un processo decisionale pubblico deve essere uno dei principi ispiratori dell’attività dall’amministrazione pubblica e il risultato di una decisione, condivisa dai suoi vertici politici, dai suoi dirigenti e dai suoi funzionari, su cui si impegna al fine di garantire il rispetto dei principi generali per le consultazioni pubbliche e l’inclusione dei risultati della consultazione nel processo decisionale.

  1. Chiarezza

Gli obiettivi della consultazione, così come l’oggetto, i destinatari, i ruoli ed i metodi devono essere definiti chiaramente prima dell’avvio della consultazione; il processo consultivo, al fine di favorire una partecipazione la più informata possibile, deve essere corredato da informazioni pertinenti, complete e facili da comprendere anche per chi non ha le competenze tecniche.

  1. Trasparenza

Tutte le fasi e gli aspetti del processo di consultazione sono resi pubblici, non solo per la platea dei diretti interessati alla materia oggetto di consultazione, ma per tutta la cittadinanza.

  1. Sostegno alla partecipazione

La consapevolezza dell’importanza dei processi di consultazione deve essere sostenuta anche mediante forme di informazione ed educazione volta ad accrescere la partecipazione e la collaborazione di cittadini, imprese e loro associazioni.

  1. Privacy

La consultazione pubblica deve garantire il rispetto della privacy dei partecipanti.

  1. Imparzialità

La consultazione pubblica deve essere progettata e realizzata garantendo l’imparzialità del processo in modo tale da perseguire l’interesse generale della collettività.

  1. Inclusione

L’amministrazione pubblica deve garantire che la partecipazione al processo consultivo sia il più possibile accessibile, inclusiva e aperta, assicurando uguale possibilità di partecipare a tutte le persone interessate.

  1. Tempestività

La consultazione, in quanto parte di un processo decisionale più ampio, deve dare ai partecipanti la possibilità effettiva di influenzare la decisione finale; pertanto deve essere condotta nelle fasi in cui i differenti punti di vista sono ancora in discussione e sussistono le condizioni per cui diversi approcci alla materia in oggetto possono essere presi in considerazione.

  1. Orientamento al cittadino

La consultazione richiede ai soggetti chiamati a partecipare un onere in termini di tempo e risorse e, pertanto, deve essere organizzata in modo da rendere tollerabile questo impegno e facilitare la partecipazione.

Naturalmente, e non poteva essere diversamente, le Linee guida sono state messe in consultazione in modo da consentire a tutti (cittadini, associazioni, ma anche amministrazioni che saranno chiamate ad adottarle) di contribuire a migliorarle e rendere più efficaci.

Si tratta di una consultazione telematica alla quale è possibile partecipare sul sito dedicato entro il 12 febbraio 2017.

Oltre a commentare i principi generali, è possibile contribuire a dettagliare i criteri attuativi, ovvero le possibili modalità con cui l’amministrazione può declinare ogni singolo principio. Sempre nell’ambito della consultazione è possibile indicare buone pratiche che possano essere di esempio alle amministrazioni su i principi delle Linee guida possono essere efficacemente attuati.

Dopo la fine della consultazione, il documento – arricchito dai documenti dei partecipanti– verrà definitivamente adottato dal Dipartimento e sicuramente messo in pratica dalle amministrazioni che partecipano al piano di azione italiano per l’open government. Ma, a quel punto, è auspicabile che venga osservato dal più grande numero di enti ed amministrazioni.

Perché, come scriveva Erich Fromm, «la democrazia può resistere alla minaccia autoritaria soltanto a patto che si trasformi, da “democrazia di spettatori passivi”, in “democrazia di partecipanti attivi”, nella quale cioè i problemi della comunità siano familiari al singolo e per lui importanti quanto le sue faccende private».

 

 

 

Ernesto Belisario

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