Danno non patrimoniale: cosa sapere sulle sottocategorie

Redazione 23/12/16
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a cura di Dott. Domenico Chindemi

Quarta Parte

Le Sezioni Unite, anziché proseguire nella strada tracciata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 233/2003, relativa alla autonomia concettuale delle voci di danno, aderiscono alla nozione di danno biologico come danno apparentemente onnicomprensivo di ogni pregiudizio subito dalla vittima, ma non considerando la definizione normativa che ostacola tale accorpamento generalizzato di voci di danno, peraltro suscettibile di allargarsi anche al pregiudizio patrimoniale in quanto alla violazione della salute non conseguono soltanto pregiudizi non patrimoniali, ma anche patrimoniali, come nel caso evidente del rapporto di lavoro, e potrebbe anche perorarsi l’idea di un revirement del danno biologico nell’alveo anche del danno patrimoniale, in forza del principio generale, affermato dalle Sezioni Unite, della unicità dell’illecito, sussumibile sotto la clausola generale dell’art. 2043 c.c., di cui l’art. 2059 c.c., costituisce solo una specificazione individualizzante la possibilità di liquidazione di un danno ulteriore.

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Il danno morale

Il danno morale dovrebbe comunque, transitare da sottovoce di danno non patrimoniale, non dotata di autonomia, ad una sua individualità rispetto al danno biologico, da cui deve potersi distinguere.

Peraltro ritenere assorbito il danno morale all’interno del danno biologico, ove si faccia riferimento alle nozioni normative di danno biologico previste dal Codice delle Assicurazioni e dalla normativa INAIL, costituisce violazione di legge, trattandosi di interpretazione contrastante con tali norme.

Le sentenze delle Sezioni Unite

Le sentenze delle Sezioni Unite possono indirizzare ad una interpretazione del sistema risarcitorio a condizione che non sia in contrasto con la legge.

Se si considera la nozione di danno biologico del codice delle assicurazioni (artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005) quale “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito”, si evince chiaramente, sia dalla stessa definizione, sia dai lavori preparatori alla legge, sia dalla costante interpretazione della giurisprudenza, che le tabelle delle micropermanenti non contengono alcun riferimento al danno o pregiudizio morale che, pertanto, deve ritenersi autonomamente liquidabile in forza del principio generale, affermato dalle stesse Sezioni Unite, della integrale risarcibilità del danno alla persona, a meno che non si voglia ritenere (ma è una interpretazione aberrante e incostituzionale), abrogando implicitamente l’art. 185 c.p., così come interpretato da una giurisprudenza decennale, che il danno non patrimoniale, conseguenza di sinistro stradale, non comprenda il pregiudizio morale.

Appare evidente, in tal caso, la diversità ontologica e l’autonomia del danno morale dal danno biologico.

Pur prestando attenzione ai pericoli di duplicazione risarcitoria paventati dalla Corte (peraltro raramente ravvisabili nelle liquidazioni dei giudici di merito ante Sezioni Unite) il danno morale può essere riconosciuto quale pregiudizio all’interno del danno non patrimoniale, distinto dal danno biologico.

Il principio che costituisce anche il limite risarcitorio

Il principio che costituisce anche il limite risarcitorio, dell’integrale risarcimento del danno alla persona non necessità di rigide e riduttive classificazioni, potendo attuarsi anche mediante una autonomia concettuale tra le varie voci di danno, affermate dalla sentenza della Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, non soggetta al vincolo delle Sezioni Unite ( a cui, peraltro la Suprema Corte non ha dedicato una sola parola) e confortata anche dalle stesse sentenze gemelle del 2003 (nn. 8827-8828) ( a cui le Sezioni Unite di San Martino dicono di ispirarsi) che hanno affermato, tra l’altro, l’autonomia del danno biologico rispetto al danno morale.

Limitare l’autonomia del danno morale, ove il risarcimento del danno biologico non comprenda tale pregiudizio, non ricompreso nella definizione di danno biologico, significa violare il principio dell’integrale risarcimento del danno che deve essere comprensivo di ogni pregiudizio non patrimoniale subito dalla vittima.

I giudici sono custodi dei principi costituzionali e non liquidare il danno morale è un comportamento lesivo dei diritti delle vittime, a meno che non lo si accorpi con altre voci di danno, come propugna la Suprema Corte, allorché parla di personalizzazione delle tabelle del danno biologico.

Va condiviso, invece, l’orientamento che considera error in iudicando, la valutazione  automatica del danno morale pro quota rispetto al danno biologico, stante l’autonomia ontologia del danno morale che deve essere considerata in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene alla sfera della dignità morale delle persona, escludendo meccanismi semplificativi di tipo automatico.

Quindi non solo autonomia ontologica, ma anche autonomia risarcitoria, non vincolata per il danno morale ad una percentuale tabellare del biologico, ma valutata equitativamente dal giudice in base al suo prudente e circostanziato apprezzamento.

 

 

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