L’accertamento fiscale in materia di società di comodo

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La modifica introdotta con D.lgs 24 settembre 2015 alla disciplina degli interpelli, oltre ad averne revisionato l’istituto, sembra aver posto dei punti fermi riguardo ai rapporti con le autorità di controllo e al contenzioso tributario.

La non obbligatorietà dell’interpello

Con particolare riferimento agli interpelli probatori per la disapplicazione di norme antielusive in materia di società non operative di cui all’art. 30 della Legge 23 dicembre 1994, 724, la nuova disciplina elimina l’obbligatorietà dell’interpello preventivo disponendo la mera facoltà del contribuente di presentare l’istanza alla Direzione Regionale delle Entrate per la disapplicazione delle norme in materia di società di comodo.

La mancata proposizione dell’interpello consentirà al contribuente di disapplicare in via autonoma la normativa quando ne ritenga sussistenti i presupposti a tal fine richiesti. Al contribuente che abbia ricevuto risposta negativa all’interpello o abbia disapplicato in proprio la disciplina è richiesta la segnalazione nel Modello di dichiarazione dei redditi.

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La risposta dell’Agenzia delle Entrate all’istanza disapplicativa e i rapporti con le autorità di controllo

La risposta scritta e motivata dell’Agenzia delle Entrate vincola ogni organo dell’amministrazione con riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente. Il vincolo si sostanzia nella previsione della nullità di eventuali atti a contenuto impositivo e sanzionatorio difformi dalla risposta. Ferma restando l’attività di controllo in ordine alla corrispondenza tra la fattispecie astrattamente descritta dal contribuente nell’istanza e quella concreta riscontrabile in sede di verifica, i principi contenuti nella risposta inibiscono, quindi, la possibilità di sollevare rilievi già in sede ispettiva, sia da parte dell’Agenzia che da parte della Guardia di finanzia.

Il rigetto dell’istanza e la verifica dei redditi

Il rigetto dell’istanza disapplicativa che impone la segnalazione nella dichiarazione dei redditi, innescherà una sorta di controllo automatizzato da parte dell’Agenzia delle Entrate in quanto il contribuente sarà inserito nella lista dei soggetti non virtuosi per cui potrà ricevere un avviso di accertamento in rettifica dei redditi dichiarati riscontrati non congrui.

L’impugnabilità del diniego alla disapplicazione

Nella Circolare 9/E del 1 aprile 2016 l’Agenzia delle Entrate, richiamando le già espresse pronunce del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, nega la tutela giurisdizionale avverso le risposte alle istanze di interpello, conformemente alla loro natura di pareri non vincolanti, privi dei requisiti di esecutività e incapaci di determinare una lesione dei diritti dell’istante.

La possibilità di proposizione del ricorso è riconosciuta solo in via successiva, unitamente all’atto impositivo – avviso di accertamento, che costituisce il primo atto lesivo della posizione giuridica del contribuente, suscettibile di tutela giurisdizionale immediata e diretta.

Il diniego che precede la riforma e l’attuale stato di incertezza

Le anzidette disposizioni sono entrate in vigore e applicabili dal 1° gennaio 2016.

Resta, invece, attuale la questione circa la diretta impugnabilità o meno del provvedimento di diniego emesso prima della riforma. La questione non risulta a oggi risolta esistendo, in merito, due contrastanti orientamenti giurisprudenziali riscontrati anche tra differenti sezioni delle medesime Commissioni Tributarie. In tale situazione, resta attuale l’interesse del contribuente a invocare il controllo dei giudici tributari per scongiurare l’eventualità che nel successivo contenzioso avverso l’avviso di accertamento possa essere fatta valere la definitività del provvedimento di diniego non impugnato e, conseguentemente, l’applicabilità della disciplina in materia di società di comodo.

Genesis Avvocati

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