Referendum costituzionale: le tesi del NO spingono a votare Sì?

Redazione 12/10/16
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Sul quotidiano del Pd l’Unità del 9 ottobre 2016 un articolo di Pietro Ichino commenta e tenta di confutare le ragioni del NO alla riforma costituzionale che un gruppo di avvocati triestini ha condensato in undici punti fondamentali.

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Secondo Pietro Ichino gli 11 punti degli avvocati triestini rafforzano le ragioni del Sì, secondo me invece è vero il contrario. Vediamo perchè.

Nel primo punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi è disomogenea, sottopone al vaglio degli elettori tre questioni complesse di rilievo costituzionale, e modifica più di quaranta articoli della carta costituzionale. Troppe questioni da affrontare con un semplice Sì o No.

Pietro Ichino replica che lo scopo della riforma costituzionale è di rendere più stabile il governo e più veloce il processo decisionale.

Referendum costituzionale: casa non va nel quesito

Secondo me sarebbe stato meglio spacchettare il quesito referendario: infatti è vero che la riforma costituzionale per sua stessa natura è complessa e modifica 47 articoli della Carta costituzionale; alcune modifiche sono condivisibili, come l’abolizione del Cnel o delle province.

Nel secondo punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi è frutto di una iniziativa del Governo e non del parlamento, e in questo modo è una riforma di parte, della parte cioè che sostiene la maggioranza di governo.

Pietro Ichino replica che i riformatori hanno cercato di coinvolgere nella riforma costituzionale anche la parte più ampia possibile dell’opposizione. E nota che non è certo la prima volta che è il Governo ad assumere l’iniziativa delle modifiche della Costituzione.

Riforme costituzionali: devono essere sempre di iniziativa parlamentare

Mi limito ad osservare che uno del padri della Repubblica italiana, Piero Calamandrei, affermava che le riforme costituzionali devono essere sempre di iniziativa parlamentare e mai di iniziativa governativa.

Al centro della democrazia deve esserci il potere legislativo e non quello esecutivo. Inoltre, questo governo non è stato eletto: sarebbe stato meglio se Matteo Renzi fosse andato alle elezioni politiche con il chiaro programma di riformare la Costituzione. In questo modo avrebbe avuto il pieno mandato degli elettori a procedere con la riforma costituzionale.

Nel terzo punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi è stata approvata solo con 361 voti su 630 alla Camera dei deputati; inoltre il parlamento attuale è delegittimato, essendo stato eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale, ovvero il Porcellum.

Pietro Ichino replica che la riforma costituzionale Boschi-Renzi è stata approvata con il 57,3% dei consensi degli aventi diritto al voto. Inoltre la sentenza 1/2014 della Corte costituzionale ha dichiarato la piena legittimità del parlamento in carica.

Una Riforma che divide il Paese?

Secondo me una riforma costituzionale approvata con il 57,3% degli aventi diritto divide anzichè unire il paese, e una Costituzione deve unire e non dividere, essendo la legge fondamentale dello stato. E’ evidente che il parlamento è delegittimato essendo stato eletto con una legge elettorale incostituzionale, che ha inquinato la vita politica italiana. Questo parlamento pertanto non avrebbe dovuto fare nessuna riforma costituzionale.

Nel quarto punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la la riforma costituzionale Boschi-Renzi viola il diritto di elettorato attivo come forma di esercizio attivo della sovranità popolare, secondo quanto previsto dall’articolo 1 della Costituzione. La Costituzione garantisce l’elettività diretta delle assemblee legislative e non quella indiretta. Inoltre non si capisce come i senatori possano adempiere ai loro compiti, dovendo svolgere anche le mansioni di consiglieri regionali o di sindaci di capoluogo.

Pietro Ichino replica che la riforma costituzionale vuole proprio modificare l’elezione a suffragio universale delle camere, che i rappresentanti delle regioni già oggi vengono a Roma almeno un paio di volte al mese per per una sessione della conferenza Stato-regioni. Con la riforma costituzionale sarà il senato a fare da raccordo tra lo Stato e le regioni, con sessioni di lavoro compatibili con gli impegni dei senatori nelle regioni d’origine.

Riforma costituzionale lede il principio della sovranità popolare

Anche secondo il costituzionalista Alessandro Pace la riforma costituzionale lede il principio della sovranità popolare, implica l’elezione indiretta che non è prevista, introduce i grandi elettori senza però definirli esplicitamente e demanda ad una futura legge ordinaria il compito di stabilire come dovranno essere eletti i senatori. quindi la riforma è anche incompleta. Infine, è difficile che un senato di soli 95 senatori possa efficacemente rappresentare le regioni.

Procedimenti legislativi ridotti o no?

Nel quinto punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la la riforma costituzionale Boschi-Renzi aumenta i procedimenti legislativi dagli attuali 3 ad 8, con il rischio di peggiorare i tempi di approvazione delle leggi.

Pietro Ichino replica che non è vero: i procedimenti legislativi secondo lui diventano solo 2. Lo smentisce però il costituzionalista Alessandro Pace: anche lui parla di almeno 8 procedimenti legislativi.

Nel sesto punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la la riforma costituzionale Boschi-Renzi la macroscopica differenza tra il numero dei deputati, 630, ed il numero dei senatori, 95, viola i principi di eguaglianza e di ragionevolezza.

Gli effetti del superamento del bicameralismo perfetto

Pietro Ichino replica che proprio il superamento del bicameralismo perfetto implica che le due camere abbiano funzioni diverse. Qui però Ichino va fuori tema: l’obiezione degli avvocati di Trieste riguarda la sproporzione tra il numero dei deputati e quello dei senatori e non la differenza di funzioni tra camera e Senato introdotta dalla riforma. Inoltre non è chiaro come 95 soli senatori possano rappresentare efficacemente venti regioni e 8000 comuni.

La questione dell’mmunità parlamentare

Nel settimo punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi mantiene inspiegabilmente l’immunità parlamentare per i senatori, che però sono nominati tra i consiglieri regionali e i sindaci di capoluogo.

Pietro Ichino replica che l’autorizzazione a procedere riguarda l’arresto e non lo svolgimento del processo. Resta il fatto che l’immunità parlamentare per consiglieri regionali e sindaci, che sono i più a rischio di corruzione è inopportuna.

Nell’ottavo punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi travasa competenze legislative dallo Stato alle regioni per cinquanta materie, aumentando i rischi di conflitto tra Stato e regioni.

Come cambiano le competenze tra Stato-Regioni?

Pietro Ichino replica che invece l’eliminazione delle materie concorrenti tra Stato e regioni riduce le possibilità di conflitto tra i medesimi. E che la clausola di unità nazionale taglia la testa al toro sui conflitti. Ci sarebbe però da osservare che il centrosinistra nel 2001 approvò una riforma costituzionale federalista, mentre oggi, a soli 15 anni di distanza ne approva una centralista. Che cosa giustifica un così radicale cambiamento di opinioni nel giro di soli 15 anni? Perché nessun esponente del centrosinistra ha fatto autocritica per aver cambiato opinione di 180 gradi su una materia tanto importante?

Nel nono punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi introduce un riparto illogico del numero di senatori per regione. Pietro Ichino afferma che la sproporzione tra numero di abitanti e numero di senatori esiste anche negli Usa e in Germania. Mi limito ad osservare che non è detto che dall’estero dobbiamo sempre importare il peggio.

Da 50mila a 150mila firme per le leggi di iniziativa popolare

Nel decimo punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi introduce l’aumento da 50mila firme a 150mila firme per le leggi di iniziativa popolare. Pietro Ichino replica che la Camera deve esaminare le proposte di legge di iniziativa popolare in un ragionevole intervallo di tempo, mentre oggi finiscono dimenticate in un qualche cassetto. Resta però il fatto che la riforma costituzionale Boschi-Renzi introduce l’aumento da 50mila a 150mila firme per le leggi di iniziativa popolare.

La riforma rafforza l’istituto del referendum abrogativo?

Nell’undicesimo punto del loro documento, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi introduce due forme distinte di referendum abrogativo, con la volontà di affossare questo strumento di democrazia diretta. Pietro Ichino osserva che non è vero: resta la possibilità di indire referendum abrogativo con 500mila firme, aggiungendo a questo un’ulteriore possibilità, quella di indire referendum abrogativo con 800mila firme ma con un quorum più basso, pari al 50% dei votanti alle ultime elezioni politiche. Quindi la riforma rafforza l’istituto del referendum abrogativo.

Distorto il principio di rappresentanza?

Infine, il gruppo di avvocati triestini osserva che la riforma costituzionale Boschi-Renzi, in combinazione con la nuova legge elettorale Italicum, rischia di concentrare tutto il potere nelle mani di una forza politica che raccolga meno del 40% dei votanti. Pietro Ichino replica che il ballottaggio ha la funzione di costringere la forza politica che non abbia superato il 40% dei voti al primo turno a conquistare almeno il 50% al secondo turno. Sì, ma si tratterebbe pur sempre del 50% dei votanti: e se al secondo turno vanno a votare ancora meno elettori che al primo turno? Non sarebbe ancora più distorto il principio di rappresentanza?

Dal mio punto di vista, nonostante tutti gli sforzi profusi da Pietro Ichino, le ragioni del NO escono rafforzate e non confutate dagli argomenti di Ichino.

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