Referendum costituzionale: super consulenze e bocciature. Renzi in difficoltà

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Allarme rosso sul fronte del Sì al referendum costituzionale: in poche ore, due bordate hanno colpito la campagna del presidente del Consiglio Matteo Renzi, che sta concentrando tutti i propri sforzi sull’obiettivo del 4 dicembre.

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A sferrare gli attacchi due autorevoli quotidiani, uno italiano e l’altro di caratura internazionale, giunti a brevissima distanza e per questo, forse, ancora più preoccupanti per i sostenitori della riforma. Segno che forse, il vento sembra davvero spirare in senso contrario al Governo, perlomeno in questa fase.

Il primo colpo per Renzi

Il primo colpo per Renzi è arrivato nientemeno che dal Financial Times, il principale organo di informazione economico del Regno Unito che, però, vanta ampia autorevolezza anche in ambito politico, tanto che analisi ed editoriali vengono tenute in grande considerazione da governanti ed elettori in ogni angolo del globo.

E martedì, la sentenza sulla riforma oggetto del referendum costituzionale, è arrivata netta e senza attenuanti: “Un ponte verso il nulla – ha scritto Tony Barber, Europe Editor del quotidiano – in Italia servono meno leggi, ma scritte con cura e attuate, invece di essere bloccate o aggirate dalla pubblica amministrazione, dagli interessi particolari e dalla popolazione”.

Nella disamina della legge Boschi, le critiche toccano da vicino uno degli argomenti più solidi del fronte a favore: quello della governabilità, che verrebbe assicurata dalle modifiche previste al Senato e alle sue competenze in materia legislativa, in base alla tesi del governo.

Il bicameralismo, in tal senso, darebbe vita a lungaggini nel via libera ai testi di legge “Eppure nel dopoguerra – si legge nel quotidiano britannico – il Parlamento italiano ha approvato un numero maggiore di leggi di quelle passate in Francia, Germania, Regno Unito e Usa”.

Ciò che sembra in pericolo, con la vittoria del Sì al referendum, sottolinea il Financial Times, sarebbe dunque la sopravvivenza di una democrazia robusta per lasciare spazio all’obiettivo “a corto respiro” del mantenimento del Governo in carica. Piena stroncatura, infine, anche dell’Italicum, una legge elettorale “preparata da Renzi e Berlusconi e pessima sotto ogni punto di vista”.

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Il secondo schiaffo al premier

Meno di 24 ore dopo, il secondo schiaffo al premier è arrivato, invece, da un importante quotidiano nazionale, La Stampa, che ha acceso i fari sulle spese sostenute dal Partito democratico per aiutare la causa del Sì.

In particolare, a generare scalpore è il maxi compenso al guru dei media Jim Messina, artefice della vittoria di Barack Obama nel 2012, ma reduce dal fallimentare sostegno a David Cameron nell’esperienza della Brexit.

Ebbene, per assoldare lo spin doctor statunitense, il Pd avrebbe scucito ben 400mila euro, una super consulenza per contrastare l’onda delle voci contrarie alle riforme. E non è tutto: l’intero investimento pubblicitario a sostegno della legge Renzi-Boschi dovrebbe ammontare, nel complesso, a poco meno di 3 milioni di euro: gli effetti si possono notare in tantissime piazze d’Italia, popolate di manifesti sovvenzionati dal comitato del Sì.

Da dove arrivano questi soldi?

In gran parte, dal finanziamento pubblico ai partiti, altrimenti chiamato “rimborso elettorale”, che sarebbe stato abolito in base alla nuova normativa, ma solo a partire dal 2017. E visto che la battaglia del 4 dicembre potrebbe segnare i destini non solo del sistema istituzionale, ma anzitutto dell’attuale classe politica, è ben chiara la ragione per cui si è deciso di rovesciare il salvadanaio, senza badare a spese.

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Francesco Maltoni

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