Ballottaggi. La vera posta in gioco

Redazione 18/06/16
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Ieri, venerdì 17, è stato l’ultimo giorno di campagna elettorale in vista dei ballottaggi. Domenica 19 giugno finalmente si vota, la parola passa agli elettori. Si tratta di un test elettorale importante, soprattutto per Matteo Renzi. Anche se ha invitato a non personalizzare il voto di domenica, è chiaro che si tratta di una sorta di referendum sul presidente del consiglio.

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Queste elezioni amministrative sono il primo anello di una catena. Se Matteo Renzi vince ai ballottaggi, la sinistra dem avrà meno argomenti per mettere in discussione la linea politica del segretario del Pd e presidente dl consiglio. La vittoria ai ballottaggi significherebbe che Matteo Renzi potrebbe andare con il vento in poppa verso il referendum sulla riforma costituzionale previsto per il mese di ottobre.

La posta in gioco quindi non sono soltanto i ballottaggi nei cinque capoluoghi o capitali d’Italia, Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna. Ma in quale caso si può parlare di vittoria per Matteo Renzi? Qual è la sottile linea di confine che separa due opposti scenari? Secondo i commentatori politici, affinché Matteo Renzi possa parlare di vittoria è necessario non solo riconfermare Torino, Milano e Bologna, ma conquistare anche Roma. Napoli è data perduta in partenza.

La vittoria ai ballottaggi di Torino, Milano e Bologna non è sufficiente. Una semplice riconferma dei sindaci uscenti non può bastare, soprattutto se si tratta di candidati che provengono dalla sinistra del Pd o da Sel, notoriamente invisi a Matteo Renzi. La vera posta in gioco che può fare la differenza è Roma, da conquistare con il renziano Roberto Giachetti.

Sui ballottaggi di Roma pesano anche le dichiarazioni di Massimo D’Alema, che nonostante sia solo il presidente della fondazione Italianieuropei ha ancora un peso nel partito. D’Alema avrebbe dichiarato che sarebbe disposto ad allearsi perfino con Lucifero pur di battere Matteo Renzi. I due, si sa, non si amano. D’Alema è l’incarnazione della sinistra che perde, agli occhi di Matteo Renzi. E come dargli torto? I maligni sussurrano che l’appoggio di D’Alema per la grillina Virginia Raggi a Roma non faccia altro che portare acqua al mulino di Roberto Giachetti. Ultimamente infatti D’Alema è una sorta di re Mida all’incontrario.

Anche per D’Alema la sconfitta di Roberto Giachetti riaprirebbe i giochi in vista del referendum sulla riforma costituzionale di ottobre. In colloqui privati D’Alema si sarebbe schierato per il NO, e avrebbe addirittura in mente di fare un proprio comitato referendario. Restando sempre in tema di ballottaggi a Roma, è chiaro che si tratta di una prova decisiva per il movimento cinque stelle di Beppe Grillo. Si tratta infatti di verificare la tenuta del movimento soprattutto ora che è venuta a mancare la guida esperta di Roberto Casaleggio e che lo stesso Beppe Grillo ha fatto un passo di lato nel sostenere il movimento.

Infatti in questa campagna elettorale l’attore comico è stato piuttosto defilato, anche se in campo ci sono due giovani donne che possono rappresentare un’importante novità nella sfida elettorale, ovvero Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino. Nonostante gli avvisi di garanzia recapitati al sindaco di Livorno e a quello di Parma, nonostante le polemiche sul direttorio e lo staff che dovrebbero prendere le decisioni più importanti nella politica amministrativa dei comuni, il movimento cinque stella rappresenta l’alternativa più valida per chi non si riconosce nel Pd di Matteo Renzi.

E proprio sul M5S sembra che convergeranno i voti in funzione antisistema della Lega e del centrodestra. Anche per quella che fu la Casa delle Libartà si tratta di un test elettorale importante. Soprattutto per verificare se è ancora Silvio Berlusconi il vero leader della coalizione. La foto di piazza Maggiore con Matteo Salvini e Giorgia Meloni è ormai un lontano ricordo. L’ex cavaliere non può sopportare che la supremazia nel centrodestra sia lasciata a Matteo Salvini. Per questo a Roma ha prima sostenuto un suo candidato, Guido Bertolaso, e poi ha annunciato di sostenere la lista civica di Alfio Marchini.

In questo modo Silvio Berlusconi avrebbe voluto spostare la barra della politica del centrodestra verso il centro, evitando di sbandare troppo pericolosamente a destra, con il lepenismo di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. Anche a Milano infatti Silvio Berlusconi sostiene la candidatura di un manager di centro moderato, ovvero Parisi. Chi esce piuttosto malconcia da questa competizione elettorale è la sinistra-sinistra, che più in là dei voti di Sel non riesce proprio ad andare. Non convince il modello che ha visto vincente Ada Comau a Barcellona con Barcelona en comune. Infatti è stato deludente il risultato conseguito a Torino, a Bologna, a Milano e a Roma. Tuttavia è pur sempre vero che senza la sinistra-sinistra il Pd non riesce a vincere.

Arrivati a questo punto è tutta una faccenda di fratelli coltelli, con i candidati di sinistra che negano il loro appoggio ai candidati del Pd, vedi ad esempio a Roma il caso di Stefano Fassina. Eppure in un passato non molto lontano questa sinistra ha saputo contare qualcosa, basti pensare al buongoverno di Giuliano Pisapia. Come purtroppo spesso accade a sinistra, restano solo le divisioni tra chi decide di sostenere al ballottaggio i candidati del Pd e chi invece sceglie di votare scheda bianca. Troppo poco per costruire una alternativa credibile.

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